ࡱ> +-()*5@ Nbjbj22 /XX}'XXXX*RARARA8AVB*evC.CDCDCZCZCZCZCuuuuuuu$QwRyn>u8EZCZC8E8E>uXDCZCvrrr8ENZCZCur8EurrssZCC PH_zRAafst,5v0evszqzs**XXzsZChCJr D<HDZCZCZC>u>u**,4 r4**4 SEQ CHAPTER \h \r 1Il Risorgimento non solo. Rappresentazioni italiane distrianit e slavismo nel discorso pubblico istriano di fine Ottocento. Vanni DAlessio Universit di Napoli Federico II In Istria il Risorgimento nazionale italiano si svilupp a stretto contatto con quello sloveno e croato, con una costante necessit di rimarcare il carattere italiano di un territorio in cui l'accavallamento di etnie produsse la pluristratificazione dei progetti di emancipazione nazionale e dei movimenti politici ad essi connessi. La carenza di una classe media ritard la nascita dei Risorgimenti croato e sloveno fino agli anni '60 dell'Ottocento, dando modo agli italiani di accentuare quelle tendenze tipicamente presenti nei discorsi dei gruppi socialmente e politicamente dominanti dell'Impero asburgico sulla propria naturale superiorit culturale e civile. La nascita e la forza del movimento politico croato e lapparizione di tesi sulla pertinenza dellIstria alla storia e alla cultura nazionale croate, stimolarono negli intellettuali istriani di lingua e cultura italiana una tipologia discorsiva che tendeva ad escludere i popoli slavi da un naturale sviluppo storico della penisola adriatica, rinforzando lidea di un carattere prettamente latino ed italiano dellIstria. Questi discorsi trovavano spazio sulla stampa, in opere di carattere pubblicistico e storiografico, ma anche in espressioni popolari come le canzoni. Attraverso le caratteristiche con cui erano pensate e raffigurate la presenza slava, italiana e la stessa idea dellIstria, si ricavano alcuni interessanti spunti sullevoluzione storica dei concetti di italianit, slavismo e della stessa istrianit. Questo saggio si sofferma su degli esempi ed elementi chiave di questa produzione di senso cercando di contestualizzarli in alcuni passaggi dellevoluzione politica istriana nella tarda epoca asburgica. Diverse letture e diverse rappresentazioni ha avuto la patria italiana. Diverse le maniere di intendere lidentit collettiva e la nazione. Molteplici le forme dei discorsi nazionali e le stesse modalit di appartenenza alla comunit nazionale, come diversi i metodi dellautorappresentazione. Le variabili sociali, ideologiche e politiche nelle correnti del Risorgimento italiano sono state sempre messe in evidenza. Meno attenzione stata dedicata a come la variabile geografica abbia contribuito alla costruzione del discorso nazionale nonostante il fatto che, nelle varie aree geografiche in cui si sviluppata lidentit italiana, le diverse condizioni sociali, politiche e culturali hanno suscitato un ampio spettro di forme di intendere, vivere e rappresentare litalianit. Alcuni elementi che in taluni contesti geografici (come temporali) furono essenziali nella costruzione simbolica della nazione e nel processo di identificazione nazionale, altrove non ebbero rilevanza. Nelle aree a sovranit imperiale dellEuropa centrale e orientale il sostrato multietnico influenz pesantemente lo sviluppo dei movimenti nazionali e dei nazionalismi, sia di quelli legati ai gruppi etnici dominanti sia a quelli di quelli non dominanti. Nelle regioni adriatiche orientali, inserite in un nesso imperiale asburgico denso di programmi e movimenti politici e ideologici nazionali concomitanti, gli elementi discorsivi nella costruzione della nazione italiana non sempre hanno combaciato con quelli prodotti nelle regioni entrate a far parte dello stato italiano tra 1861 e 1870. Le specificit del Risorgimento adriatico, pi che arricchire il quadro dellanalisi sul Risorgimento italiano nella sua complessit, sono state proiettate interamente nella categoria storiografica dellIrredentismo, con cui si visto e studiato il movimento nazionale italiano nelle regioni sotto sovranit austriaca, lasciando a studiosi delle realt locali il compito di integrare nella storia successiva al 1866 gli avvenimenti precedenti. La storia dellattivismo nazionale italiano nelle regioni austriache escluse dallunificazione degli anni sessanta dellOttocento ha finito per essere schiacciato nel quadro del movimento irredentista di agitazione politica e mobilitazione culturale. LIrredentismo, tuttavia, non cominci che alla fine degli anni sessanta dellOttocento e in quanto lotta contro lAustria era fondamentalmente attivo in Italia (naturalmente con il contributo esenziale degli irredenti trentini, triestini, goriziani, dalmati e istriani). Se lIrredentismo nacque e mantenne una funzione prettamente anti-austriaca, il movimento nazionale italiano degli irredenti in Austria era diretto contro le autorit ed istituzioni austriache in alcuni momenti di frizione con lo stato o di crisi, come nella Dieta del Nessuno o nella crisi finale successiva allattentato di Sarajevo. Non a caso, per spiegare la posizione non antisistemica della leadership di lingua a cultura italiana e il suo tentativo di mantenere la solida presenza nellamministrazione e le posizioni di potere acquisito nella fase di apertura costituzionale asburgica, si fatto riferimento alla categoria di Irredentismo legalitario. Non mia intenzione di proporre laccantonamento di un concetto tanto fortunato come quello di Irredentismo adriatico che, soprattutto grazie allanalisi di Angelo Vivante, mantiene ancora una forza descrittiva ed esplicativa. Al tempo stesso non si pu negare un problema di emarginazione dalla storia dItalia delle terre che, a posteriori, si sono trovate escluse dai confini statali. Lo studio del movimento nazionale italiano nel suo complesso non pu non comprendere lIstria e la Dalmazia, considerandole solo in merito al problema di lotta per la loro inclusione nei confini dello stato. Non si tratt solo di Risorgimento ma certo anche di Risorgimento. Al tempo stesso, si pone anche il problema di un confronto tra storiografie nazionali che nellAdriatico settentrionale mancato ancor pi che in Dalmazia. Non era lunico, solo, Risorgimento in Istria, in quanto si intrecci al Narodni preporod, influenzandolo ma anche subendone la presenza e, quindi, linfluenza. In varie occasioni, e anche di recente, dalla storiografia croata stata messa in discussione la categoria risorgimentale di Narodni preporod, che inizialmente fu funzionale a unequiparazione o omologazione con il movimento italiano e successivamente fu capace di inserirsi in un contesto ideologico socialista (proprio grazie allambivalenza popolare-nazionale del termine narod). Alla categoria di Preporod (letteralmente Risorgimento) stata anteposta lidea di integrazione nazionale (nacionalna integracija), gi applicata con successo al caso dalmata e al processo generale di acculturazione nazionale croata, per evidenziare gli aspetti di progressiva espansione nella formazione di una cultura nazionale croata (con il rischio di non cogliere alcuni suggerimenti storiografici sulla problematica permeabilit della societ tardo-ottocentesca ai processi di nazionalizzazione). In parte ci dovuto anche a unonda storiografica funzionale al progetto politico e culturale di emancipazione nazionale croata di fine Novecento, in Istria entrata in una dinamica di contrapposizione tra letture diverse della realt, della tradizione e della cultura locale. Data la sostanziale concomitanza dei processi di mobilitazione nazionale, politica e culturale, italiana e croata (nonch slovena), si pone il problema di un raffronto, che appare assai fertile (ma che esula da questa trattazione), sia tra gli elementi discorsivi nazionali italiani e croati del Risorgimento e del Narodni Preporod istriani, che tra questi e le rispettive contestualizzazioni storiografiche risorgimentali italiane e croate. Qui ho focalizzato la mia attenzione su quegli aspetti del discorso pubblico italiano pi connessi alla presenza dellAltro, in un contesto di confronto politico sempre pi serrato tra due opzioni esclusive di sviluppo nazionale e risorgimentale. In Istria elementi caratteristici della coesione e della cultura italiana erano, per citarne alcuni, una forte identit municipale e unaltrettanto forte sentimento di identit e appartenenza regionale. Questultimo non era incrinato dalle difficili condizioni economiche della penisola, suscitando un senso di profondo rammarico, uno spunto per polemiche contro le autorit centrali o uno stimolo per iniziative e piani per un miglioramento. Il senso di responsabilit che llite italiana avvertiva nei confronti delle cose istriane era anche legato, secondo un principio di ordine sociale e politico condiviso dai gruppi dirigenti liberali non solo italiani, a una convinzione di un nesso profondo tra capacit economiche e capacit politiche e tra entit del contributo del proprio gruppo nazionale alla spesa pubblica e diritto di decidere in merito ad essa ed alla gestione complessiva dellamministrazione. Le sfide della democratizzazione ponevano, tuttavia, dei problemi, avvertiti con disagio da tutte le lites liberali austriache, tedeschi in primo luogo, che temevano lavanzata sociale dei gruppi nazionali fino ad allora socialmente e politicamente subordinati. Il malessere delle lites tedesche dipendeva anche dal rapporto con la Germania (tra sentimenti di attrazione e ripulsione). Negli italiani dAustria, assai pi disponibili verso lItalia, il disagio era accresciuto dalle politiche espresse dal governo del Regno, che dopo aver rinunciato a progetti militari nei confronti dellImpero asburgico, entr nella Triplice alleanza. Ad impensierire maggiormente llite istriana italiana, era per la situazione in Dalmazia, a partire dai progetti di annessione alla Croazia-Slavonia e poi con la fine dellegemonia politica del gruppo italiano e il processo di croatizzazione dellamministrazione pubblica e del settore scolastico, che proiettava ombre di incertezza non solo rispetto allo status, ma alla sopravvivenza stessa della propria comunit linguistica. Alla vigilia della formazione del Regno dItalia, quando ancora la situazione politica italiana appariva fluida, Carlo Combi diede alle stampe Il confine orientale, una strenna istriana, ossia una collezione annuale di saggi e interventi scientifici, letterari e politici. Lidea del confine orientale esprimeva chiaramente lappartenenza dellIstria a un ambito culturale, geografico, etnico e politico italiano, sostenuta con vigore negli articoli della stessa pubblicazione. Tuttavia, la questione non era scevra da problemi, come rivela la stessa esigenza degli intellettuali istriani italiani di allora, oltre che di dimostrare la naturale appartenenza allItalia dellIstria, ossia del territorio, anche di testimoniare la propria appartenenza nazionale. La paura, dopo la nascita dello stato italiano e la mancata annessione nel 66, di rimanere isolati provocava anche una sorta di insicurezza di vedersi riconosciuti come italiani e di essere dimenticati dai compatrioti oltre confine. Alla sensazione di appartenenza anomala alla comunit nazionale era legata anche una paura di essere rappresentati in maniera distorta o che allesterno filtrasse unidea di Istria non pi segnata unicamente dalla cultura italiana. Le manifestazioni al passaggio di viaggiatori illustri o di una carrozza ufficiale, soprattutto se di alto rango (come quella degli stessi esponenti della case dei Savoia o degli Asburgo), o quelle in occasione di una ricorrenza o di un lutto patriottico (anniversario di Dante, Verdi, morte di un Savoia), celebrate come momenti della lotta irredentistica, erano anche manifestazioni di italianit, desiderio di testimoniare la propria esistenza e vitalit di italiani. Gridare evviva! al passaggio di una carrozza ufficiale era come segnare il territorio, soprattutto negli ultimi anni dellAustria, quando si scaten una continua competizione tra gli  evviva e i rispettivi  ~ivio! (competizione non scevra da pericoli di intervento poliziesco e giudiziario delle autorit). L organizzazione e la celebrazione di eventi fuori dalla quotidianit, erano vissute come momenti di autorappresentazione della comunit: una mostra darte, una visita turistica, una partecipazione sportiva in Italia o una visita di personaggi dallItalia, come quella celebre di Gabriele DAnnunzio nel 1902. Le manifestazioni degli istriani italiani erano rivolte, oltre che alle istituzioni e allopinione pubblica del Regno dItalia, anche ai governanti austriaci e, non ultimo, alla controparte slava con cui si conviveva e contro cui si lottava per affermare i propri diritti nazionali. Fino agli anni ottanta del XIX secolo il governo centrale era il punto di riferimento per lazione politica degli italiani dAustria e nella loro costruzione del discorso pubblico, che investiva campi pi disparati, dalla politica alla cultura. La prima met degli anni ottanta costituisce uno spartiacque importante in quanto il rapporto con sloveni e croati acquist una forte centralit, investendo in pieno il discorso sulla raffigurazione e sul ruolo della comunit italiana in Istria. Elementi di questo discorso filtravano attraverso vari tipi di interventi pubblici, ma un ruolo preponderante avevano le descrizioni geografica e storica della penisola istriana, che non erano limitate alla saggistica in riviste specializzate ma erano inserite in settimanali dal maggiore consumo e in interventi legati apparentemente ad altri argomenti. Le riletture della storia, come pure la lettura degli avvenimenti coevi, erano scritte soprattutto per il pubblico italiano del Litorale austriaco, ma avevano come referenti sia gli italiani oltre confine sia la popolazione slava, slovena e croata. Alla problematica presenza degli slavi sul territorio furono dedicati molti saggi di storia. Oltre ad essere un argomento del dibattito, da quando croati e sloveni istriani iniziarono a porsi come controparte politica, gli slavi divennero anche i diretti destinatari di polemiche politiche sulla carta stampata. In questo intervento io cerco di connettere gli influssi della politica con alcuni prodotti culturali, come i saggi storici e le canzoni popolari, che avevano un ruolo importante nella definizione degli schemi in cui venivano rappresentati gli slavi, ma anche gli italiani e lItalia, lIstria e il legame tra il territorio e litalianit. Gli intellettuali istro-italiani tendevano a inserire la presenza slava in un flusso storico in cui, pur attraverso traumi e tensioni, non fosse intaccata la continuit e prevalenza dellelemento romano-italico. Argomento di saggi storici ma anche di articoli sulla politica regionale densi di riferimenti storici, lo slavo era un bersaglio, diretto e indiretto, di una polemica continua contro le rivendicazioni linguistiche del movimento nazionale croato e sloveno. Le accuse agli slavi erano anche un modo per colpire il governo, ma la polemica sul problema slavo aveva una sua ragion dessere in quanto sloveni e croati divennero avversari politici diretti a partire dagli anni settanta, cominciando ad impensierire gli italiani negli anni ottanta. La rappresentazione dello slavo e lautorappresentazione da parte della comunit italiana sulla stampa e poi in pubblicazioni di vario tipo ebbero una spinta quando le comunit linguistiche slave cominciarono ad avere un peso nel dibattito politico istriano. Alla met del secolo si trattava ancora di una contesa tra autorit austriache ed esponenti locali. Negli anni successivi la contrapposizione vide di fronte la leadership istro-italiana e gli attivisti nazionali croati e sloveni, piuttosto che le autorit austriache. In un prima fase di questa contesa, il movimento croato e sloveno in Istria era considerato solo un ostacolo artificialmente posto da Vienna contro gli italiani, in quanto lo slavo istriano era e rimaneva, in fondo, lo s'ciavo, volutamente non differenziato e senza categoria nazionale. In una seconda fase, pur ammettendo in alcuni interventi giornalistici la nascita e la crescita di una societ slava e malvolentieri legittimando la sua espressione politica, gli stereotipi rimasero. In effetti, lo stereotipo connaturato proprio al rifiuto di un altro sapere e alla fissit nella costruzione ideologica dellalterit, in unincapacit o rifiuto di accettare il mutamento. Nel riferimento allo sciavo si pu leggere, chiaramente, anche lallusione indiretta a ci che era italiano. Attraverso il riferimento, la fotografia e la caratterizzazione dello slavo, come con la canzone, la cronaca politica e la ricostruzione storica che lo dipingevano, si ridefinivano e rimarcavano i limiti di ci che lo slavo istriano era, poteva essere e non essere, e i margini che lo distanziavano dallitaliano. Daltra parte, ci che era italiano era direttamente esplicitato attraverso il suo legame con la storia della civilizzazione in Istria: la presenza romana (colonizzazione pi che invasione), le cittadine che resistettero a incursioni e nuovi insediamenti (dei barbari, ossia avari e slavi), e Venezia che, estendendo il suo dominio su queste cittadine, ne avrebbe rafforzato lidentit romano-italica ed automaticamente litalianit. La sovrapposizione tra passato e presente, la confusione voluta tra unera nuova di identificazioni nazionali e unepoca di gerarchizzazioni strettamente sociali, era una caratteristica del discorso pubblico italiano in Istria, che attingeva a una lettura della realt presente in chiave storica e che veniva riprodotta tanto in opere storiche quanto nelle canzoni popolari, tanto nelle polemiche giornalistiche quanto nei discorsi nelle rappresentanze comunali e provinciali. A questo tipo di fonti ho attinto per ricostruire un discorso pubblico, un discorso sul presente politico, sui dei limiti geografici ed etnografici, su delle barriere culturali. * * * La concomitanza di gruppi etnici e di progetti e partiti politici di ispirazione nazionale in un contesto statale multietnico riproduceva una situazione comune a molte zone dellEuropa centrale e orientale. Similitudini che si accentuano se compariamo il caso istriano con altri casi della parte occidentale dellImpero asburgico, connotata dalla coesistenza conflittuale di gruppi etnici dominanti, o nazioni storiche, e gruppi etnici non dominanti, le nazioni senza storia, in un ambito politico di tipo costituzionale. Gli italiani dIstria e di Dalmazia si trovavano in una situazione non dissimile da quella dei polacchi della Galizia. In entrambi i casi, polacchi e italiani gestivano un potere a livello regionale che, dalla seconda met dell800, fu messo in discussione dalla nascita del movimento nazionale ucraino (ruteno) e croato-sloveno. Una peculiarit dei movimenti nazionali in Istria e Dalmazia, come in Boemia, era poi il senso di appartenenza regionale, che coinvolgeva tutti i gruppi nazionali. Tuttavia, i cechi che contendevano ai tedeschi il potere a Praga e in Boemia non subivano linflusso di altre zone della Monarchia abitate dallo stesso gruppo nazionale. Questo poteva accadere per i cechi della Moravia, ed era sicuramente il caso degli sloveni del Litorale e soprattutto dei Croati dellIstria e della Dalmazia, che vivevano in un forte rapporto politico, reale e ideale al tempo stesso, con altre zone dellImpero. Carniola e Croazia, che oltretutto confinavano con le zone orientali della provincia istriana, esercitarono unimportante influenza sullo sviluppo politico e culturale delle popolazioni istriane slave lungo i confini e anche allinterno. Nella prospettiva degli italiani del Litorale, chiaramente, Carniola e Croazia erano corpi assolutamente estranei alla provincia. Nondimeno, queste regioni emergevano costantemente in un discorso di delegittimazione politica fondato su un binomio di inclusione/esclusione e in cui trovava spazio anche luso del concetto di istriano. Lidea di istriano sottintendeva, per gli istro-italiani, unadesione a un ambito di riferimento culturale italiano (in quanto lunica civilt e cultura in Istria era, in questa prospettiva, quella di origine latina). Un aspetto importante del discorso era anche la differenza tra gli slavi al di l e al di qua dei confini della provincia, ragione per cui era tanto importante fissare di continuo i confini mentali, oltre lambito amministrativo vigente. Le popolazioni slave della Carniola e della Croazia erano considerate straniere, mentre a volte gli slavi istriani venivano definiti nostri slavi, o persino slavi nostri confratelli. Se per il settimanale croato Naa Sloga il popolo istriano si doveva difendere dal pericolo di unitalianizzazione, per la stampa italiana la minaccia per gli istriani era la croatizzazione. Cos il giornale del partito liberal-nazionale italiano dellIstria si rivolgeva ai contadini istriani: E non vi accorgete infine che ogni giorno i vostri preti, la Naa Sloga e tutti gli altri giornali croati vi dicono che siete croati? E, diamine, voi croati?! Voi siete istriani; ed io vi ho inteso dire che voi non volete essere assolutamente croati. Sembravano fargli eco alcuni elettori di un villaggio dellIsola di Veglia: A noi le insolenze di quellasino di Jurina e di quel balordo di Franina non hanno fatto cambiar dopinione, perch ad onta di quelle noi abbiamo votato e voteremo sempre per il partito Istriano. Noi siamo Istriani e non vogliamo essere croati. Secondo llite italiana, lattivit degli emissari o, pi spesso, apostoli di Lubiana e Zagabria (con riferimento polemico alla forte intromissione dei sacerdoti) era rivolta a rompere un equilibrio e un ordine naturale nella penisola in cui litaliano sarebbe dovuto essere lunica lingua ufficiale di comunicazione e secondo cui alla classe media di lingua italiana spettava di diritto il ruolo di gestione della cosa pubblica per la propria preminenza economica e civile e per una maggiore legittimit a considerarsi istriani: Anni addietro su questa amata e bella penisola spirava unaria mite di pace e quiete; gli slavi del territorio formavano una sola famiglia cogli italiani delle citt e delle cittadelle, la concordia e la fratellanza vivevano ovunque; il contadino prosperava materialmente e moralmente, e savviava a passi lenti si, ma continui e sicuri sulla scia della civilt e del progresso. Ma ahim, questa pace serena, questamicizia universale non doveva durare! Calarono dai monti torme di preti, che invece di seguire le massime del Vangelo e di predicare lamore, la carit e la fratellanza e dessere riconoscenti verso le persone che li ospitavano su questo suolo istriano e sotto questo bel cielo, incominciarono a seminare la discordia instillando lodio contro tutto ci che sa ditaliano, dovunque lo potevano fare impunemente. I primi anni ottanta del XIX secolo erano gli anni in cui L'Istria, giornale di riferimento della Giunta provinciale e della classe dirigente liberal-nazionale istriana, avvertiva il pericolo della fine di questo equilibrio e l'avvio di una stagione di "odio di razza", come in questa corrispondenza da Pola del 1882, che insisteva sul ruolo di un comitato elettorale cittadino di impiegati e militari di lingua tedesca: I campioni del Comitato generale hanno messo la forza principale della loro propaganda nelleccitamento degli slavi contro glitaliani. E il pi triste si , che individui di nazionalit tedesca si lasciavano entusiasmare alla caccia degli italiani, e che certi pretanzuoli ci mettevano la pezzetta untuosa dallaltare. Siffatte anomalie, hanno per questo di deplorabile, che non si dissipano senza lasciare qualche traccia sinistra. E qui germoglier pur troppo a lungo la semente dellodio di razza, che non si conosceva per secoli, e che ha aspettato a fiorire allo spirar delle aure della conciliazione. L'accusa di fomentare l'odio inter-etnico era indirizzata ai tedeschi presenti a Pola, ma dal tono dellargomentazione si avverte come il diretto referente e soggetto politico autonomo non fosse ancora il partito croato dellavvocato Matko Laginja. Tra 1882 e 1883 si verific, in effetti, un passaggio importante nel processo di "riconoscimento" del soggetto altro (dal punto di vista politico e discorsivo), come in una lettera al giornale LIstria in cui vi si complimentava per liniziativa inedita di pubblicare due articoli di approfondimento sullo slavismo che servono a chiarire a noi medesimi litalianit della nostra provincia insidiata da poco tempo in qua da una turba di scamiciati, apostoli delle conventicole di Zagabria e di Lubiana, e che noi abbiamo avuto il torto finora di rimeritare soltanto col disprezzo. I tempi, purtroppo, sono venuti a tale, che non basta pi il solo disprezzo e occorre invece una lotta seria ed efficace di tutti i giorni, se vogliamo salvare il patrimonio pi prezioso che possediamo, la nostra nazionalit. Nello stesso numero de LIstria, il corrispondente dal Quarnero insisteva sullo stesso argomento: Bisogna che gli istriani aprano gli occhi e vedano i pericoli a cui sono ora esposti () se lasciamo penetrare i nemici in casa. I primi venti anni di apertura costituzionale asburgica erano stati segnati inizialmente (come nel 48) da una lotta contro candidati e opzioni politiche conservatrici e lealiste (indipendentemente dalla nazionalit dei candidati) e, negli anni settanta, da una prima competizione con i candidati croati nei comuni foresi, di campagna, della parte centrale e soprattutto di quella orientale della provincia (che era in massima parte oltre i tanto dibattuti confini naturali dellIstria). Nei primi anni ottanta il tono si fece pi acceso. Le elezioni del 1883 rivelarono, per la prima volta, un vero disagio del partito italiano, non solo pi rispetto alle sole ingerenze dei funzionari governativi, nei decenni precedenti considerati i veri artefici di ogni ostacolo posto alle posizioni italiane nella provincia: (...) la campagna nostra a poco a poco, anzi a vista d'occhio, va corrompendosi per influenze dirette a scalzare le nostre. Chi avrebbe detto venti anni fa, che noi dovremo fortemente sudare per ispuntar vincitori nelle elezioni politiche nei comuni foresi? Chi avrebbe supposto che questa gente senza cultura, senza civilt, senza ricchezze, e persino senza compattezza, sarebbe capace di affermarsi in pubblici meetings, ostentando unit e compattezza pur di sopraffarci? Chi avrebbe ideato che la nostra Dieta servir di tribuna per lanciarci una parola di sfida da qualche zelante croato? La sfida andava oltre un problema di controllo immediato di risorse. Mai un Luogotenente o un altro esponente del governo avrebbe pensato di utilizzare un'altra lingua che non litaliana in unassemblea politica. Nellagosto del 1883, in una sessione del parlamento provinciale istriano Matko Laginja cominci cos il suo intervento: Gospodo Latini (Signori latini). Era la prima volta che accadeva. Il suo era stato un prologo, per continuare in italiano, ma la provocazione cera tutta, e la reazione forse anche prevista: Gli stenografi non trascrissero l'intervento, i deputati italiani abbandonarono l'aula in segno di protesta e il pubblico and in escandescenza. Ma il sasso era ormai gettato. Istrianit e civilt italiana-latina coincidevano per gli esponenti lite liberal-nazionale italiana, in quanto la presenza italiana era naturalmente legata allIstria, come la civilt. La superiorit dellelemento italiano nellIstria ottocentesca era in effetti evidente dal lato economico e anche politico. La grande propriet, in particolare, era in mano agli italiani. Le leggi sullesonero del suolo che liberarono i contadini dalla feudalit, li resero debitori dei signori delle citt, come ripeteva con insistenza polemica Naa Sloga, che denunciava come proprietari e creditori italiani avessero uno strumento di pressione nei confronti dellelettorato rurale. Indipendentemente se la leadership slovena e croata fosse di orientamento cristiano sociale o liberale, la propaganda delle loro pubblicazioni puntava molto sulle rivendicazioni sociali. Come noto, incontro ai contadini croati e sloveni vennero le casse rurali slave, con lo scopo di emanciparli, ma anche di mobilitarli contro llite italiana. Per buona parte del secolo XIX ladesione a un ambito culturale italiano era una consuetudine di qualsiasi famiglia che entrasse a far parte di un circuito cittadino colto o delllite in genere e mancava una classe media di lingua croata e slovena in Istria allinfuori del clero. I sacerdoti furono i primi attivisti nazionali slavi dellIstria e i primi attivisti laici furono maestri e artigiani, ma i primi leader laici furono avvocati, i quali assestarono alla guida del partito croato-sloveno nel corso degli anni '80 e degli anni '90. Formatisi fuori la provincia e in rapporti con i centri culturali e politici del movimento illirico e poi slavo (i sacerdoti) e croato-sloveno (gli avvocati), venivano spesso accusati di essere elementi esterni alla provincia, il che era vero solo in parte. Molti effettivamente provenivano da altre regioni slave dellImpero, ma molti preti e quasi tutti gli attivisti laici (professori esclusi) erano istriani, solitamente dalla parte orientale o dalle isole e, verso la fine del secolo, anche dall'Istria centrale. Negli insediamenti ai margini orientali, dove prima apparve una classe media croata e slovena e dove i contatti con le citt e cittadine oltre la provincia erano a volte pi semplici che con il resto dell'Istria, i sacerdoti, gli insegnanti, gli avvocati e i professori ebbero pi facilit nella loro opera di costruzione di un tessuto culturale slavo. Si trattava della parte meridionale del Carso, delle isole del Quarnero, della Liburnia e dellarea a cavallo del monte Maggiore, tutte poco abitate da italiani. Seguendo le conclusioni de lIstria di Kandler, nei primissimi anni sessanta lIstriano reiter la non appartenenza naturale di queste aree allIstria, anche se la provincia continuava ad includerle. Solo in fase di contrattazione sui confini dopo il primo conflitto mondiale il discorso sarebbe mutato, mentre nel tardo periodo austriaco la loro estraneit al corpo centrale della provincia fu esplicitata continuamente dalla stampa italiana, mentre cresceva la polemica con i leader del movimento croato. Questultimo, daltra parte, era attivo in tutta la penisola istriana. Molti dirigenti nativi dellarea di Castua, di Volosca, dellisola di Veglia si insediarono in Istria centrale e anche sulla costa, dove si impegnarono in una mobilitazione politica e culturale a tutto campo, aspirando a un riconoscimento dei diritti linguistici e politici croati e sloveni in tutta la penisola e a un ruolo di primo piano nelle sedi politiche di tutta la provincia. Definire i confini all'interno della provincia, era un modo per arginare le pretese sull'Istria, tutta. Oltre che alla chiarificazione di quali fossero i confini della vera Istria (quella che, oltre che per la geografia, grazie anche al suo sviluppo storico era l'Istria naturale), la nascita e la diffusione del polo di aggregazione culturale e politica croata (e slovena pi a nord) spinse gli intellettuali italiani a dover rimarcare le ragioni di una propria superiorit e di una maggiore legittimazione a rappresentare e governare la provincia. Andavano quindi rinforzati gli stereotipi sulla superiorit italiana (quindi anche sull'inferiorit slava) e sulla sua legittimazione e capacit a governare. Caratteristica degli stereotipi, secondo Homi Bhabha, appunto quella di essere una forma di conoscenza ed identificazione che vacilla tra ci che risponde ad un ordine, qualcosa che gia noto, e qualcosa che va ansiosamente ripetuto. Le prime opposizioni alla legittimit della nazione italiana sullIstria vennero dalle autorit austriache. Queste, nel 1848, si opposero alla richiesta di utilizzo della lingua italiana come unica lingua ufficiale della provincia, utilizzando i dati etnografici raccolti dallufficio di statistica di Vienna secondo cui la popolazione di lingua italiana era una decisa minoranza rispetto a quella slava. I deputati italiani eletti in Istria per la Costituente austriaca del '48 ingaggiarono una polemica con esponenti governativi sulle pagine della stampa del Litorale. Il pi acceso fu Carlo De Franceschi, uno dei pi autorevoli storici della provincia, che sintetizz le posizioni italiane: LIstria () frazione dItalia siccome compresa entro i naturali suoi confini settentrionali che sono le Alpi, e siccome avente comune con lei il cielo, clima e tantaltre qualit. Come tale venne sempre riguardata dai tempi dAugusto sino a d nostri. () Ma, voi dite, oltrech Italiani vi sono in Istria Slavi e Romanici ossia Valacchi; come dunque pu essa dirsi provincia dItalia? Ed io risponder: non sono forse abitanti dItalia anche gli Slavi della valle di Resia e del distretto di San Pietro in Friuli, i Germani dei monti del Vicentino e Veronese, i Francesi della valle dAosta nel Piemonte, gli Albanesi nel regno di Napoli? Per lIstria italiana anche per lingua. Sebbene abitata da schiatte diverse, negherete forse che lelemento principale per forza morale, quandanche nol fosse per numero, sia certamente litaliano? Negherete che la civilt sua esclusivamente italiana, e che italiana la lingua di quanti non vestono casacca di griso, la lingua dogni persona civile su tutta la superficie dellIstria, de commercianti, degli industriali, degli artigiani; lingua del foro; delle contrattazioni, unica in cui si legge e scrive dal popolo, usitata non nelle citt soltanto, ma in tutti i borghi, in pressoch tutti i villaggi, se non esclusivamente almeno come lingua che susa assieme colla slava; mi negherete che la massima parte degli Slavi nostri non soltanto comprendono litaliano, ma pi o meno anche lo parlano; () mi negherete che il popolo slavo, a misura che si incivilisce, sitalianizza senzaltra azione che quella naturale delle condizioni nostre ()? La lingua delle interazioni e degli scambi commerciali tra i diversi gruppi etnici (funzionari tedeschi compresi) era effettivamente litaliano e intorno alla met del secolo il fenomeno di assimilazione alla lingua e alla cultura italiana si stava rafforzando anche oltre i margini dei gruppi urbani e dei ceti colti. De Franceschi, che prevedeva un progressivo assorbimento degli slavi alla cultura italiana, non seppe prevedere la nascita, tra gli anni 60 e gli anni 70 di un movimento politico slavo in Istria. Lassimilazione delle famiglie slave che si inurbavano o che salivano nella gerarchia economica e sociale, alla lingua, alla cultura e alla nazione italiana, non si ferm improvvisamente, ma cominci a rallentare fortemente, per diventare un fenomeno assai debole allinizio del XX secolo. In quei decenni, quanto pi venne messa in discussione lidea di una sola lingua e di una sola cultura in Istria, e in prospettiva lidea di egemonia politica italiana (come stava accadendo in Boemia con lavanzata politica ceca nei confronti dei tedeschi), tanto pi gli intellettuali italiani sentivano lurgenza di rimarcare lappartenenza istriana a una sfera culturale italiana. I croati e i carniolici delle polemiche giornalistiche erano degli intrusi, cos come lo erano stati gli slavi nellevoluzione storica naturale della penisola. Anche nelle descrizioni degli storici, gli slavi si erano introdotti rompendo un equilibrio. Spesso era stato facilitato il loro ingresso (contro la volont delle popolazioni locali) secondo un paradigma che vedeva le popolazioni romane vittime delle scelte dei vari governanti di facilitare lingresso slavo, nel periodo della prima penetrazione slava, in quello del ripopolamento istriano dellet moderna, come per il presente, dato che era il governo austriaco il vero artefice e architetto del movimento slavo in Istria. Allo stesso modo, il periodo del primo insediamento slavo era oggetto di forti polemiche tra gli storici istro-italiani e croati. Come i croati, inoltre, cercavano di rompere un equilibrio assestato tra italiani e slavi istriani, cos gli slavi stessi, nelle ricostruzioni storiche, erano penetrati rompendo un equilibrio precedente. Riviste quali lArcheografo triestino e gli Atti e memorie della Societ istriana di archeologia e storia patria erano impegnate nella pubblicazione di saggi che insistevano sul carattere latino e italiano dellinsediamento sul territorio. Le ricerche, gli studi e riflessioni sullIstria nel periodo classico e medievale, promossero la conoscenza ma anche alimentarono il mito dellimpronta romana sulla penisola. Studi su statuti cittadini e altri documenti di epoca medievale o su iscrizioni e opere architettoniche di et romana rimandavano alla preminenza dellelemento romano e italico in Istria, mettendo in secondo piano la presenza o le testimonianze di una cultura slava scritta (come il glagolitico, in particolare). Questa veniva da parte croata esaltata attraverso lidea di presunta continuit dalluso del paleoslavo al croato moderno. Alcuni saggi della rivista Atti e memorie erano quindi dedicati espressamente a smentire questa continuit ed altri problemi legati alla presenza delle popolazioni non italofone. Ad esempio Tomaso Caenazzo, nello studio su I morlacchi nel territorio di Rovigno, si lasciava andare a caratterizzazioni ad uso e consumo delle polemiche a lui contemporanee. Caenazzo affrontava il tema delle popolazioni balcaniche insediate dallAustria e da Venezia nellIstria del XV secolo spopolata da guerre ed epidemie, sottolineando quindi i loro costumi selvaggi e la loro indole rapace. Molestissimi ai vecchi abitanti, i morlacchi, come le altre popolazioni arrivate dalle regioni conquistate dallImpero ottomano o insediatesi anche in precedenza, erano state una minaccia allequilibrio demografico e civile della penisola. Si trattava di un equilibrio gi messo in pericolo dai primi insediamenti di popolazioni slave, menzionati nel celebre Placito del Risano, che testimoniava le lamentele contro i sudditi slavi a cui erano state date terre da coltivare agli inizi del IX secolo. Tale equilibrio era anche quello contemporaneo, anche perch il passato era rivisitato con lo spunto e lo sfondo della contrapposizione tra elemento italiano e slavo. Come nel XIX secolo la cultura slava scritta andava delegittimata in quanto prodotto artificiale di intromissioni esterne alla provincia (Zagabria, Lubiana), cos anche le testimonianze scritte slave di epoca medievale e moderna andavano circoscritte. Carlo De Franceschi invest le sue energie per provare che un documento medievale in lingua croata (lIstarski Razvod), che gli storici croati di Zagabria datavano tra fine XIII e inizio XIV secolo, fosse da considerare apocrifo. Nello stesso anno Giuseppe Vassilich, pubblicando lo statuto della citt di Veglia, polemizzava con Giambattista Cubich, autore di un saggio in cui si offriva la traduzione di un supposto Statuto scritto in lingua slava. Infatti, gi la circostanza della lingua doveva porlo in sullavviso non poter essere stato quello lo Statuto duna citt italiana autonoma. * * * Gli stereotipi sul carattere italiano dellIstria, protetto allinterno delle mura cittadine e poi dalla presenza veneziana, erano amplificati anche da poesie, canzoni popolari ed inni delle associazioni. Basandomi su una documentazione gi edita far qualche esempio per dimostrare una sostanziale coincidenza nellapproccio discorsivo alla questione dellidentit della regione istriana. Pola, con le sue evidenti tracce della presenza romana (anfiteatro, arco romano, ecc.), era un richiamo costante alla latinit istriana, come in Pola Capitale: Sulle mura dellArena Costruite dai romani Chiama dolce la sirena A raccolta gli istriani. Pola Romana esprimeva concetti simili, alludendo in maniera esplicita allitalianit della citt e anche alla latinit del territorio: Sta mia cara e vecia Pola la se fa sempre pi bela la par proprio una stela piena ditalianit (...) Oltre a tute ste beleze de sta nostra capitale xe lArena colossale la gran Roma a ricordar; xe latini i nostri colli xe latini anche i vigneti. Non era raro sentire citate assieme Roma e Venezia, come in Grisignana, cittadina della parte interna dellIstria, ma anticamente sotto il dominio veneziano: Qui di Roma dei marmi narrare qui Venezia regina fu un giorno qui il tedesco oppressore cerc indarno la latina virt di donar (...) Le monete, i monumenti sto dialeto venezian tuti questi se argomenti che il paese se italian (...) Italian se la mare italian sel genitor italiana se la fiama che me ardi in fondo al cuor. Il mito dellautonomia delle citt istriane non entrava in collisione con lesaltazione di Venezia (che pure le aveva ridotte in soggezione, usando anche la forza), come spiegava Paolo Tedeschi nel saggio Il sentimento nazionale degli istriani studiato nella storia, pubblicato a puntate da una rivista letteraria istriana di fine Ottocento: Se da una parte lamore al proprio municipio eccit glIstriani a combattere Venezia, quando volle cangiare il protettorato in dominio, daltra parte, attratti dal sentimento nazionale accolsero ben volentieri il protettorato e pagarono i tributi donore a San Marco, balzello necessario a tenere sgombro il mare dalle piraterie dei Narentani. Anche Albona era stata una citt sotto il controllo veneziano ed era rimasta una citt a fortissima maggioranza italiana. Tuttavia, trovandosi sulla fascia costiera orientale, era circondata da una campagna compattamente slava. Era perci una vedetta nazionale, tra passato e presente: Lass pur che i canti e gridi e che i fazzi pur malanni nella patria dei Luciani no se parla che italian (...) Prima Roma, po San Marco su sta terra ga regn xelo pur sotto la losa su le lapide stamp E da allora sempre semo la Vedetta sora el mar e se s che no cambiemo mai la lingua de parlar. Lassociazione tra passato e presente era qui esplicita attraverso il nome dei Luciani, riferimento chiaro a Tommaso Luciani, che abbandon lIstria per sostenere la causa irredentista in Italia. Il passato di vedetta e la lotta per litalianit si fondevano anche nella Notte di San Sebastiano, composta in occasione dei trecento anni dallassalto fallito degli uscocchi ad Albona, in cui ritornello richiama anche Trieste (moderna protettrice dellitalianit ma, in teoria contradditoriamente, antico cuneo austriaco nei possedimenti marittimi di Venezia): Evviva San Giusto, San Serzi, San Bastian Evviva San Marco, al santo venezian (...) Barbari ladroni (...) Rubarne pretendeva la nostra libert Al valoroso Tita al bravo capitan el merito ghe speta e a Priamo el pio van se Albona xe scampada da quel colpo del man se i albonesi i xe sangue italian. Altra vedetta, al di l degli stessi confini naturali dellIstria reiterati dagli intellettuali italiani, anche la liburnica cittadina di Laurana esprimeva un suo sentimento di appartenenza antico, distanziandosi proprio da quel mondo croato in invadente crescita (e che andava ricondotto allesterno, almeno fuori il contesto urbano): Dai tempi antichi La nostra civilt No iera mai Croata () Zighemo dunque: Evviva Laurana, la citt! Evviva le sue glorie, lantica civilt Pure in dialetto e con lesortazione alla coesione della comunit, tra passato e presente, si esprimeva unaltra canzone albonese, A la forteza (1900): E avanti in alto - sangue albonese strensemo insieme - forte la man Vivemo in paese in sto paese perlemo tutti in italian. Queste canzoni italiane erano per lo pi in dialetto istro-veneto, anche quando citavano (ed era una cosa abbastanza frequente) Dante, il Gran Maestro, simbolo egli stesso della favella e dellitalianit in genere. In Istria, ma anche a Fiume e Trieste, infatti, il dialetto locale non era percepito in contrasto con litaliano letterario e il suo uso non era percepito come dissonante rispetto alla propria italianit. Esprimersi in una delle varianti locali dellistro-veneto o dellistro-romano era, quindi, percepito come un chiaro segno di appartenenza nazionale. Per sminuire le pretese nazionali della popolazione slava, uno degli argomenti era, invece, proprio la differenza dei dialetti locali dalle lingue letterarie slovena e croata. La dispersione e la forte differenziazione delle popolazioni slave istriane, dalla lingua a usi e costumi, erano sottolineate dai saggi etnografici della rivista di Combi alla fine degli anni 50. Largomento della frammentazione linguistica (e anche etnica) degli slavi in Istria penetr a fondo nel discorso italiano sugli slavi degli anni successivi, di solito in maniera strumentale. La differenza tra i dialetti utilizzati dagli slavi istriani e la loro diversit dalle lingue letterarie degli slavi del sud, davano sostanza allopinione sullincapacit degli istriani di comprendere queste lingue. Questo argomento fu utilizzato anche in un dibattito dellassemblea provinciale istriana del 1863 dal marchese Parisini, deputato italiano di corrente moderata, che esprimeva forti dubbi sullutilit di adottare, ma anche di identificare, una lingua slava per le trascrizioni dei dibattimenti e per la pubblicazione delle leggi provinciali. Successivamente, la diffusione del croato e dello sloveno in Istria fu sempre vista come un artifizio, come artificiale era anche lo sviluppo del movimento nazionale croato e sloveno in Istria. Non era stato un intruso nellevoluzione storica della provincia il leone di San Marco. Albona, come si visto, ringraziava esplicitamente San Marco. Draguccio, baluardo veneziano circondato da territori asburgici, dalla sua posizione assi poco marittima, ringraziava la bella Venezia regina sul mar, pur essendo un paese circondato da campagna e tra i pi lontani dal mare. Anche Buie, altra cittadina ex veneta dellIstria continentale, era sentinella. Queste cittadine, compresa laltro baluardo Montona, i cui vecchi leoni di pietra che si incontrano entrando in citt espongono un libro pi chiuso che aperto, erano state le protagoniste della difesa dellitalianit, avamposti dellIstria veneziana che, come sintetizzato da Giovanni Quarantotto, era debitrice a quella stessa Venezia di cinque secoli di gloriosa vita civile, nel corso dei quali aveva potuto mantenere immune da ogni infiltrazione straniera la propria cultura; conservare inalterati, cio tipicamente italici, lingua, arte, usi, tradizioni, costumi; formarsi -ci che pi conta- una limpida coscienza nazionale. Ma se Venezia era la continuatrice di Roma della difesa della latinit e, quindi, dellitalianit dellIstria, anche quella parte della penisola che era stata sotto l'Austria (e anzi aveva patito gli assedi da parte delle armate di San Marco) aveva resistito alla pressione dello slavismo. Il dominio austriaco non aveva indebolito lidentit italiana degli abitanti della contea di Pisino, dove gli stessi feudatari e amministratori (quando non italiani) erano stati spinti ad adoperare la lingua italiana o latina, anzich la tedesca, in molte pratiche interne, come sosteneva Camillo De Franceschi nellItalianit di Pisino nei secoli decorsi. Queste idee le aveva gi espresse il padre, Carlo De Franceschi, nella prima ricostruzione storica della penisola: Di fronte alla pi potente nobilt tedesca ed alle altre famiglie di quella stirpe stabilitesi pel corso di parecchi secoli nella Contea, e di rimpetto alle numerose e compatte masse di slavi di vecchia e di nuova immigrazione che lavoravano le campagne, lelemento italiano sparso nelle povere cittaduole e borgate e qua e la nei villaggi, stette saldo a rappresentare lantica civilt latina; sicch la lingua italiana vi si mantenne attraverso alla barbarie del medio evo. Le cittadine e i villaggi allestremit orientale della provincia istriana, in particolare gli insediamenti sopra e oltre il Monte maggiore (anche questo vedetta), sia la costa liburnica attorno alle cittadine di Volosca e Abbazia, non erano oggetto di costruzioni mitopoietiche n erano luoghi di competizione politica. Nel Canto popolare istriano venivano celebrate ed elencate le antiche citt che za prima dei romani vantava zivilt, ossia le ex venete Pola, Capodistria, Parenzo, Rovigno, Buie, Pirano, Muggia, Albona, Umago, Cittanova, Isola, Digano, Montona, ma non le cittadelle antico-asburgiche della Liburnia (Moschiena, Lovrana, Abbazia e Volosca). Dellantico Litorale austriaco mancavano anche le cittadine della parte montuosa ai margini orientali, altrove spesso definite come capisaldi dello slavismo, ossia la croata Castua e la slovena Castelnuovo, mentre era incluso il nuovo faro politico, Trieste nostra, La mare de bon cor!. Cera, assieme a Trieste, lantica austriaca Pisino. Questa aveva un ruolo particolare, sottolineato da un settimanale italiano gi agli inizi degli anni 70: (...) agli sforzi aperti del germanesimo subentrarono i conati e le mene segrete e subdole dello slavismo doltre alpi. Epper sempre Pisino che deve sostenere il primo urto delle valanghe corruttrici degli elementi stranieri, che minacciano la civilt e la nazionalit istriana. Le sorti adunque e le condizioni nostre non possono essere indifferenti per il resto della provincia, poich se qui si avr lena sufficiente a sostenere la lotta, tutta la provincia ne andr salva, come tutta la provincia sarebbe esposta a grave pericolo se qui per qualsiasi causa si avesse a soccombere. La forza del partito slavo crebbe negli anni successivi e la delicatezza di Pisino venne ribadita nel 1884 quando fu fondata, proprio a Pisino la Societ Politica Istriana: Non senza ragione venne eletta Pisino a sede di questo patrio sodalizio. (...) Il comitato promotore, dopo lunghe elucubrazioni, si convinse che Pisino per la sua topografica posizione (...) era la citt pi accessibile a tutti. (...) Ma oltre a ci il comitato si persuase che la invasione delle masse, che vorrebbero della vecchia Istria distruggere ogni cosa, e per conseguenza tradizioni, storia, lingua e costumi, era temibile ai confini di questa cara citt, e quindi la vedetta della difesa consigliabile ove pi facile e pressante il pericolo. Tuttavia, dopo pochi anni, il partito croato ottenne la vittoria alle elezioni a Pisino, insediando un podest croato, come ricordava, in un intervento al parlamento provinciale dell'Istria sulla questione scolastica, un deputato della stessa citt: Caduto finalmente circa nell'anno 1886 il Municipio in mani straniere, in mani di cospiratori croati, i medesimi idearono l'istituzione di una scuola croata a Pisino. La lotta per le scuole occupava una parte rilevante di una contesa politica tra i partiti croato e italiano. Nella quotidianit, pi dei partiti, furono le associazioni volontarie nazionali (culturali, ricreative, sportive, assistenziali, economiche...) ad essere il canale privilegiato della mobilitazione, da una parte e dallaltra della barricata nazionale. Associazioni organizzavano frequentemente balli, concerti e feste di piazza, che fornivano lopportunit per proporre, oltre a repertori di tipo classico (possibilmente con Verdi o Zajc), vecchie e nuove canzoni, composte anche per loccasione. Molte di queste facevano esplicito riferimento alla situazione politica. Nel 1903, per un ballo della Lega Nazionale, associazione diffusa in Trentino e Venezia Giulia per promuovere la fondazione di scuole italiane e difendere la lingua e la cultura italiane, fu presentata La mia Pisino, che cominciava cos: Pisin xe la mia cula De la Provincia il cor Che a certi in testa frula Cambiarghe el bel color. Se il podest rimase croato, non per questo la lotta per il controllo delle risorse comunali si esaur, e tanto meno quella per la nazionalizzazione dello spazio pubblico. La lotta era ancora aperta. Per un altro ballo della Lega nazionale, nel 1906, fu scritta Evviva la Lega: (...) Eviva la Lega Se in cor gav amor patrio, La Lega non scordar. Pisin un bel esempio Ai altri el ghe vol dar. Eviva lIstria bela Le antiche sue citt La stirpe sua latina, Cambiar no i poder. La fondazione del Teatro sociale (a spese dei cittadini italiani), nel 1912, fu loccasione di unaltra composizione che, in nome del tempio sacro dellarte, invitava a lottar con lena e ardir: (...) Su fratelli della patria il vessillo ognor spieghiamo e a lui stretti ci cingiamo che invincibili sarem. Una delle questioni su cui si scontrarono i leader politici provinciali, lungo lultimo trentennio dellOttocento, fu il ginnasio di Pisino, dagli anni 30 di lingua tedesca. Gli italiani premevano per trasformarlo in ginnasio di lingua italiana (il secondo nella penisola, dopo Capodistria) e i croati per avere il primo ginnasio in lingua croata nella penisola. Dopo il trasferimento a Pola di quello tedesco, nel 1890, la cittadina dellIstria centrale, con i suoi soli 4.000 abitanti ebbe, per la sua posizione geografica, ma anche per laccanimento dei due partiti nazionali a farne un simbolo della rispettiva lotta, un ginnasio croato (a spese dello stato) e uno italiano (a spese della provincia): Come tore, tore ferma che non trema e che non crola che una santa lingua aferma, ga Pisin la bela scola. Xe la vampa de un gran fogo che ogni giorno ga pi ardor e se insinua in ogni logo riscaldando a mile i cor. Con Dante e con Petrarca a con Ariosto e Tasso avanti va la barca sempre di fermo passo. Xe quatro vogadori che i sa afrontar el mar, e fin ghe i voga lori naufragio no i pol far. A sta scola benedeta i ragazzi fa carriera ne la lingua pi perfetta che se parli su la tera. Quante lote per gaverla che vittoria per Pisin; brilla al sol, immensa perla, sta palestra de latin. Le lotte per le scuole superiori ed inferiori e per la lingua nell'amministrazione erano al centro della contrapposizione politica tra i rappresentanti politici italiani e croato-sloveni e dell'attenzione della stampa. Oltre che per gli eventi organizzati dalle associazioni, la popolazione era mobilitata dalle scadenze elettorali ed alcune canzoni traevano ispirazione proprio dalle contese elettorali. Se a Pola, per esempio, si festeggiava lelezione del podest Rizzi, a Pisino si ironizzava sulla sconfitta elettorale del podest croato Trinajsti: Coraggio istriani che pass el bub croati ne l'Istria croati mai pi cant fis'ci fe quel che vol ma anche sta volta a Viena no and Abaso de l'oste se bevi bon vin se magna se bevi se paga un fiorin. e fora c l'undici dodici tredici tralal fora de qua Noi semo Istriani e se volemo ben Sepuca e Trinaistic se vol ancora pi ben E fora co l'undici, ecc. Oltre che a Pisino, il partito croato fu capace di affermarsi in alcuni comuni dellIstria interna, alcuni molto piccoli e con scarsa popolazione italiana, altri con una discreta presenza italiana e anche una tradizione veneziana, come Pinguente. Esso cominciava ad insidiare alcune posizioni di potere delllite italiana in queste zone, anche se legemonia economica non fu mai messa realmente in discussione. A livello provinciale, inoltre, il sistema di voto censitario, mai eliminato del tutto per le elezioni delle rappresentanze locali, non permetteva una vera possibilit di alternanza. Ciononostante, il numero di rappresentanti provinciali slavi crebbe costantemente a partire dagli anni 70, e cos anche quello dei deputati al Consiglio dellImpero. Se negli anni 70 croati e sloveni inviavano un deputato dalla circoscrizione rurale dellIstria centro-orientale, negli anni a seguire arrivarono ad imporsi anche nelle circoscrizioni rurali dellIstria occidentale e in quelle urbane nellIstria orientale. Alle elezioni per il Consiglio dellImpero del 1907, le prime a suffragio maschile universale e diretto, il partito croato/sloveno ottenne la maggioranza assoluta delle preferenze, con circa trentamila voti al primo turno, mentre il partito liberale italiano ne ricevette circa la met, i cristiano-sociali italiani poco pi di cinquemila e i socialdemocratici (con candidati soprattutto italiani) circa quattromila. Questa crescita progressiva era vista con preoccupazione da parte delllite italiana. Una reazione abbastanza tipica, come nella Canzonetta contro il podest di Pisino Trinaistic, era quella dellironia. Cos era anche nel Canto popolare istriano. Questo aveva un tono generale di esaltazione e il suo ritornello era Evvica lIstria! bela Dele pi bele al par, La dolze sua favela, El suo bel ziel, el mar. Lultima strofa era dedicata agli influssi negativi ed esterni: E chi con zerte storie Fra i pi ne vegner, Canteghe ciaro e tondo Feve pi il l...pi in l. Un senso di tranquillit (come il "cant fis'ci fe quel che vol" della Canzonetta contro il podest di Pisino Trinaistic) era presente anche in una delle canzoni pi diffuse, Lass pur!...: Lasse pur che i canti e subii, E che i fazzi pur dispetti: Nela patria de Rossetti No se parla che italian. L'atteggiamento ironico era utilizzato specialmente contro le posizioni ideologiche slave pi estreme (a volte reali, a volte caricate dalla stampa italiana), che investivano la storia e il futuro della penisola, rivendicata in maniera esclusiva alla componente slovena e croata: Ho dovuto a malincuore sincerarmi che la nostra tanto vantata civilt italiana, non una espressione iperbolica; e che anzi, non che vantarci ed insuperbirci della pretesa nostra romana origine dobbiamo viceversa compiangere noi stessi od esecrare quei nostri pretesi antenati; i quali invadendo leden croato, fermarono, schiacciarono, distrussero in sul pi bello il progresso di quella civilt; che, cominciata al di l di Adamo, assunse ragguardevoli proporzioni alla torre di Babele, con linvenzione di quella miriade di nuovi linguaggi diversi sarebbe diventata il non plus ultra della sapienza! Barbari romani, osteggiatori di ogni civilt, conculcatori della nazione modello, veri parricidi di propri gloriosi antenati, degli abitatori del paradiso terrestre! L'esempio pi calzante dell'atteggiamento italiano, che nell'uso dell'ironia sdrammatizzava una situazione che era, tuttavia, anche di reale preoccupazione, lo troviamo nella canzone Marameo. Le rivendicazioni sul carattere sloveno di Gorizia, che suonavano assurde come quelle slovene su Trieste e croate su Pisino, essendo equiparate a pretese di affermare il carattere slavo di Dante e Petrarca (come se fossero nati in Carniola), dell'Europa, della Cina, della luna del sole e le stelle. Un mondo alla rovescia, che tuttavia si presentava agli italiani nella sua concretezza, visto che le tre citt citate erano proprio le tre citt del Litorale austriaco dove pi forte fu l'attivazione politica e culturale del movimento sloveno e croato: Gorizia s'ciava? Gorizia per quattro caldi de Plava. Gorizia credime Gorizia se s'ciava! Marameo cari burloni Ritorn pur a Salcan Che a Gorizia benedeti Tutto, tutto xe italian! Xe s'ciava Trieste Xe s'ciava Pisin E Dante e Petrarca Xe nati a Tolmin. Marameo ecc. L'Italia, la tera Credemelo fioi, I xe antenati De sior Nabergoi! Marameo ecc. L'Europa, la China Xe s'ciave anche quelle, Xe s'ciava la luna, Il sole le stele. Marameo ecc. * * * Le rivendicazioni croate e slovene mettevano in discussione un ordine sociale ma anche un quadro mentale assestato ma in equilibrio precario. Le canzoni avevano un potere rassicurante in quanto confermavano il quadro di unIstria dalla cultura italiana e un ordine sociale in cui gli slavi rimanevano in una posizione marginale. Non un caso linsistenza sulla romanit e la distanza del mondo slavo venissero espresse proprio da canzoni delle citt particolarmente esposte, geograficamente o demograficamente (Gorizia, Albona, Pisino, Laurana). Dante, Roma, la lingua italiana, gli slavi, non erano gli unici temi attorno a cui ruotavano le canzonette di quel periodo. Le donne e il vino erano probabilmente pi citati. Lo era anche lamore per la propria citt e per lIstria, che venivano esaltate per la bellezza della natura (il cielo, il mare, la natura), per i frutti che questa natura offriva e per le donne che labitavano. Assieme a queste qualit era la lingua, era Dante, era la storia, e quindi Roma e Venezia. La patria era intesa come Istria o come Italia e la patria austriaca non veniva citata. Al tempo stesso erano rari i riferimenti al tedesco o al germanico. Gli slavi erano lelemento di disturbo: Feve pi il l...pi in l. Le immagini stereotipate dellAltro non hanno un carattere a-temporale, ma possono essere ricostruite nel loro discorso storico. Gli autori dei testi delle canzonette (Giulio Giorgieri, Giovan Battista Cleva, Alessandro Giraldi, Nazario Stradi, Valeriano Monti, e ancora Levi, Dobrovich, Macieta, Mons. Bennati, R. Vascotto, ecc.) erano inseriti in un quadro di relazioni sociali immerso nella realt politica del confronto continuo tra italiani da una parte, e croati e sloveni dallaltra. Politici, storici, giornalisti, professori, studenti, musicisti erano espressione di ununica lite che agiva di concerto, come del resto avveniva anche nel quadro della sociabilit e della politica croata in Istria. nella quotidiana e diretta esperienza con lalterit e nella sua concretezza che, infatti, si creava quella resistenza grazie alla quale si formavano immagini ed immaginari astratti e stereotipati. Il bisogno continuo di ridisegnare i veri confini dellIstria, di rinvangarne la tradizione latino-veneziana e italica nella lingua e nei costumi e di ripetere lestraneit degli slavi si inseriva nel linguaggio e nella lotta politica e, al contempo, da questa traeva spunto. Attorno a questi temi ruotavano quindi sia saggi storici, geografici, filologici e archeologici, sia interventi sulle condizioni politiche (ma anche economiche) del territorio, sia canzoni popolari. Pur trattandosi interventi di tipo diverso, questi intrecciavano uno stile retorico e facevano riferimento a ununica consapevolezza, che si distribuiva in un insieme di testi poetici, eruditi, economici, sociologici, storiografici e filologici. Il contesto retorico in cui questi testi erano inseriti era quello dellaffermazione della nazione e di una rivendicazione di italianit che meno aveva a che fare con il nesso statale, con lAustria, e pi con la concorrente lotta di tipo risorgimentale portata avanti da croati (e sloveni). Era propaganda pi risorgimentale che irredentista, anche se in un contesto temporale e spaziale diverso e con caratteri specifici. Pur indirizzati a un pubblico non omogeneo e per letture e utilizzi assai dissimili, i diversi testi che a titolo esemplificativo ho citato esprimevano la stessa idea di Istria e lo stesso disagio per un ordine sociale e politico che veniva messo in discussione, una realt contestata che andava, invece, resa incontestata.   PAGE 23  Sulla retorica risorgimentale vedi A. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santit e onore alle origini dellItalia unita, Torino 2000. Sul Risorgimento vedi anche  HYPERLINK "http://virmap.unipi.it/cgi-bin/virmap/vmibo?doc_pubbl:12985932;main;rev" Immagini della nazione nell'Italia del Risorgimento, a cura di A. Banti e R. Bizzocchi, Roma 2002; L. Riall, Il Risorgimento. Storia e interpretazioni, Roma 1997; A. Scirocco, LItalia del Risorgimento, Bologna 1990.  Secondo una pi tradizionale terminologia gruppi etnici dominanti e non dominanti sono le nazioni storiche e di popoli senza storia. Cfr. The Formation of National Elites, a cura di A. Kappeler, Comparative Studies on Governments and Non-Dominant Ethnic Groups in Europe, 1850-1940. Dartmouth 1992.  Fa eccezione il lavoro di G. Quarantotto, Figure del Risorgimento in Istria, Trieste 1930.  Nel primo e, soprattutto, nel secondo caso fu fondamentale il legame con i fuoriusciti, da Tomaso Lucani alle associazioni della Prima guerra mondiale (su questi vedi R. Monteleone, La politica dei fuoriusciti irredenti nella Guerra Mondiale, Udine 1972).  Sullirredentismo legalitario vedi G. Cervini e N. Salvi, LIrredentismo, Enciclopedia monografica del Friuli- Venezia Giulia, vol 3, Parte I, Udine 1978. Sul conflitto nazionale in Istria e Trieste come lotta per il potere locale vedi M. Cattaruzza, I conflitti nazionali a Trieste nellambito della questione nazionale nellImpero asburgico 1850-1914, in Quaderni giuliani di storia, X (1989), n. 1 e V. DAlessio, Il cuore conteso. Il nazionalismo in una comunit multietnica. LIstria asburgica. Napoli 2003.  V. Spin i, Narodni preporod u Istri, Zagreb 1924; Hrvatski Narodni Preporod u Dalmaciji i Istri, a cura di J. Ravli, Zagreb 1969.  D. `epi, O procesu integracije hrvatske nacije u Istri,  Druatveni razvoj u Hrvatskoj od 16. do po etka 20. stoljea , Zagreb 1981, pp. 251-281; N. `eti, O povezenosti Istre s ostalim hrvatskim zemljama. Naaa Sloga 1870.-1915., Zagreb 2005; Sulla Dalmazia vedi N. Stan i, Hrvatska nacionalno integracijska ideologija preporodnog pokreta u Dalmaciji, Zagreb 1980. Sul cammino tortuoso dei processi di nazionalizzazione delle masse vedi E. Weber, Da contadini a francesi. La modernizzazione della Francia rurale 1870-1914, Bologna 1989 e sul caso italiano T. De Mauro, Storia linguistica dellItalia unita, Roma-Bari 1976.  In questo discorso si inseriscono studi storiografici che pur nella loro seriet disciplinare sono anche inquadrabili in un progetto nation building croato (come Pazin i drugoj polovini 19. i po etkom 20. stoljea, Zbornik radova sa znanstvenog skupa  100 godine Hrvatske itaonice u Pazinu , Pazin 1999 e Hrvatska Gimnazija u Pazinu 1899-1999, Zbornik, Pazin 1999) intenti anche a fare da contrappeso ai contemporanei studi, di carattere solitamente sociologico, sullistrianit e sullidentit regionale istriana apparsi sulle riviste del Centro di ricerche storiche (in particolare su Ricerche sociali).  Da questo punto di vista le riviste e le pubblicazioni del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno costituiscono una vera e propria risorsa per un dialogo tra culture diverse.  R.A. Kann, The Multinational Empire. Nationalism and National Reform in the Habsburg Monarchy, 1848-1918, New York 1950; A. Sked, Grandezza e caduta dellImpero asburgico (1815-1918), Roma-Bari 1993.  E. Zllner, The Germans as an Integrating and Disintegrating Force, Austrian History Yearbook 3 (1967), 1; A. Whiteside, The Germans as an Integrative Force, Austrian History Yearbook 3 (1967), 1.  Sulla situazione degli italiani in Dalmazia e sul movimento politico dellautonomismo dalmata vedi i recenti J. Vrande i, Dalmatinski autonomisti ki pokret u XIX stoljeu, Zagreb 2002 e L. Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze 2004.  C. Combi, La Porta Orientale. Strenna Istriana per gli anni 1857-1858-1859, con prefazione e note di Paolo Tedeschi, seconda edizione, Capodistria 1890.  N. Feresini, Pisino 1902 Visita di D'Annunzio - 1907 Mostra d'Arte, Trieste 1971.  R. Siebert, Il Razzismo. Il riconoscimento negato, Roma 2003, p. 26; H.K. Bhabha, The Third Space, in J. Rutherford (a cura di), Identity, Community, Culture, Difference, London 1990.  A. Dal Lago, Non persone. Lesclusione dei migranti in una societ globale, Milano 1999, pp. 12-13.  Su cultura scritta e non scritta in Istria vedi M. Bertoa, Istra izmeu zbilje i fikcije, Zagreb 1993.   L Istria , 11.1.1885 e 24.1.1885.  Ai contadini istriani,  L Istria , 12.9.1885.  Corrispondenza da Dobrigno (Veglia),  L Istria , 22.8.1885.  I contadini Franina e Jurina erano due personaggi popolari di una rubrica fissa di Naa Sloga, che conversavano in dialetto ciacavo (istro-croato) sulle questioni di attualit, quindi anche di politica.  Politica e comunismo, LIstria, 12.9.1885.  Cose di Pola, LIstria, 16.12.1882.  La voce di un patriota, LIstria, 26.4.1884.  Dal Quarnero, LIstria, 26.4.1884  L'Istria, 17.11.1883.  Resoconto stenografico della Dieta Provinciale dell'Istria, I seduta (21.8.1883), Parenzo 1884, p. 18; Vedi anche LIstria, 1.9.1883.  Sul ruolo dei professori sloveni in Istria vedi D. Juri i- argo, Slovenci na Hrvatskoj Gimnaziji u Pazinu od 1899. do 1918., in Hrvatska Gimnazija u Pazinu, cit., pp. 367-382.  I Confini dell Istria,  L Istriano (Rovino), 16.5.1860 (n. 16) e 23.5.1860 (n. 17).  H. K. Bhabha,  The Other Question. Stereotype, Discrimination and the Discourse of Colonialism, in The Location of Culture, London 1994, p. 66.  Nel 1846 Karl Czrnig, direttore dellIstituto di statistica di Vienna, inizi il primo accertamento approssimativo di tutte le nazionalit dell'impero, Istria inclusa, pubblicandone i risultati anni dopo nel volume "Ethnographie der sterreichischen Monarchie (Wien 1857).  Un articolo di Carlo De Franceschi in difesa dellitalianit dellIstria e contro i governanti stranieri, in C. De Franceschi, Memorie autobiografiche, con prefazione, note e appendici a cura del figlio Camillo, Trieste 1926, pp. 248-249.  T. Caenazzo, I morlacchi nel territorio di Rovigno, Atti e memorie della Societ di archeologia e storia patria, II/1, Parenzo 1885, pp. 129-140.  C. De Franceschi, Studio critico dellistrumento della pretesa reambulazione di confini del 1325, Archeografo triestino, XI, Trieste 1884. Su questa questione vedi anche le lettere di De Franceschi a `ime Ljubi (autore di Razvod Istarski u latinskom i talijanskom jeziku,  Starine JAZU , 6, Zagreb 1874), in M. Bertoaa, Pisma Carla De Franceschia `imi Ljubiu, Vijesnik Historijskih Arhiva u Rijeci i Pazinu (VHARP) XIII, Rijeka 1968, pp. 120-136.; cfr. Lettere di Carlo De Franceschi a Giovanni Kobler,  Fiume , VI, 1928, pp.107-207; Lettere di Carlo De Franceschi a Pietro Kandler e ad altri,  Atti e Memorie della Societ istriana di archeologia e storia patria (AMSI), 2, XL (1928), pp. 259-346; J. .AJVYbc  i~e stȶݍmXIh[6}h<|CJaJmHsH)jh[6}h<|0JCJUaJmHsH"h[6}hZH6CJ]aJmHsHh[6}hZH6]mHsHh[6}hZHmHsHh[6}hZH6mHsH"h[6}h#%15CJ\aJmHsH"h[6}hZH5CJ\aJmHsH(h[6}hZH56CJ\]aJmHsHh[6}hZHCJaJmHsH%jh[6}hZHCJUaJmHsH0cde'mmmm&$ ) p@ P !dh1$`a$gdZH+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH$ ) p@ P !1$a$gd*"$ ) p@ P !dh1$a$gd* L0=>OP )btVm Y^w}<@tK [ E!J!K!L!`!i!x!!!!D#E#[$\$%%&&&&)')++%,&,.߲ߢߢ߲ߢߢߢߢߢ߲߲߲߲ߢ߲߲h[6}h<|6CJaJmHsH)jh[6}h<|0JCJUaJmHsH/jh[6}h<|0J6CJU]aJmHsHh[6}h<|CJaJmHsH"h[6}h<|6CJ]aJmHsH@..c/w///116688FF_GgGHHHHHHHH8I=I>I?IKKZVbVnVwV ~N!661$]6^6`a$gdZH&$ ) p@ P !dh1$`a$gdZH&$ ) p@ P !dh1$`a$gdZH U\V\o^aaRcdeegiivvvbb$66]6^6`a$gdZH+$ ) 6n> ~N!761$]7^6`a$gdZH dh1$`gdZH+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH&$ ) h8 xHdh1$`a$gdZH aaaOcPcRce g&gggggiii=j>j?j@jAjjklmmmozm_mzmOh[6}h<|6mHnH sHuh[6}h<|@H*mHsHh[6}h<|@mHsH)jh[6}h<|0JCJUaJmHsHh[6}h<|6CJaJmHsH"h[6}h<|6CJ]aJmHsHh[6}h<|CJaJmHsHh[6}h<|mHsH(jh[6}h<|0JUmHnH sHu!h[6}h<|6]mHnH sHuh[6}h<|mHnH sHuiAjjjmHpIp s woI&$ ) h8 xHdh1$`a$gdZH"$ ) p@ P !dh1$a$gdZH+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH 6dh1$]6gdZH$76]7^6`a$gdZH"$ ) h8 xHdh1$a$gd`NooIpqqqq s sss$u0uxxzzP}Y}}}}} @AcdfZrxə~Nbbc!ȡѡҡbcرءءرءءرررررءرؑؑررh[6}h<|CJ]aJmHsHh[6}h<|6CJaJmHsH)jh[6}h<|0JCJUaJmHsH"h[6}h<|6CJ]aJmHsHh[6}h<|CJaJmHsHh[6}h<|mHsHh[6}h<|6]mHsH9 wcffOLԡ+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gd6+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH&$ ) h8 xHdh1$`a$gdZH ԡޡ2Ibc7e#$ ) h8 xH1$`a$gdX +$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH&$ ) h8 xHdh1$`a$gdZH&$ ) p@ P !dh1$`a$gd^2 bcnɧҨ!|Ǭ֭%L]°uvx !ȽȚȽȚȽȚȽȚȽvvȚȽȚȽȚh[6}h<|6CJaJmHsHjh[6}h<|0JU h[6}h<|)jh[6}h<|0JCJUaJmHsHh[6}h<|6]mHsHh[6}h<|mHsHh[6}h<|CJaJmHsH,jh[6}h<|0JCJU]aJmHsH"h[6}h<|6CJ]aJmHsH.7JPhƥ¦ &$ ) h8 xHdh1$`a$gdZH+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdK+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH 6Ogmȧɧ#$ ) h8 xH1$`a$gdX ,$ ,6n> ~N!@661$]6^6`a$gdlD+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH ɧ!{|ӫ $:Qef~Ƭ 1$`gdZH+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH&$ ) h8 xHdh1$`a$gdZHƬǬ!EL]vկ+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH&$ ) h8 xHdh1$`a$gdZH#$ ) h8 xH1$`a$gdX $%x߱ Ʋ +$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gd4&$ ) h8 xHdh1$`a$gdZH+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH !̾UV,-(~ 1$`gdMa&$ ) h8 xHdh1$`a$gdMa&$ ) h8 xHdh1$`a$gdZH+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZHOPzɾʾ*QRScdV-%&(ANcdf񾧗xkxjh[6}h<|0JU h[6}h<|h[6}h<|@mHsHh[6}h<|mHsHh[6}h<|CJ]aJmHsH,jh[6}h<|0JCJU]aJmHsH"h[6}h<|6CJ]aJmHsHh<|CJaJmHsH)jh[6}h<|0JCJUaJmHsHh[6}h<|CJaJmHsH*f{%:Sg|&$ ) h8 xHdh1$`a$gdMa+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZHlmo:<@~%& fghd#$&ллллЯлННлߏННxߏ,jh[6}h<|0JCJU]aJmHsHh[6}h<|mHnH sHu"h[6}h<|6CJ]aJmHsHh<|CJaJmHsH)jh[6}h<|0JCJUaJmHsHh[6}h<|CJaJmHsHh[6}h<|@mHsHjh[6}h<|0JU h[6}h<|'ou (E_yz&$ ) h8 xHdh1$`a$gdMa+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH 1$`gdMa./DZt@d&$ ) h8 xHdh1$`a$gdMa+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH 2Rt#5EYo)h&$ ) h8 xHdh1$`a$gdMa+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZHh~0Gcd&Eay&$ ) h8 xHdh1$`a$gdMa dh1$`gdMa+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZHfmST&Aci-My>IЏsdh[6}h#ECJaJmHsHh<|CJaJmHsHh[6}h<|6CJaJmHsHh[6}h<|mHsH)jh[6}h<|0JCJUaJmHsH"h[6}h<|6CJ]aJmHsHh[6}h<|CJaJmHsHh[6}h<|@mHsHh[6}h<|mHnH sHu(jh[6}h<|0JUmHnH sHu"3L_p&$ ) h8 xHdh1$`a$gdMa+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH3FST^]&$ ) h8 xHdh1$`a$gd`N&$ ) p@ P !dh1$`a$gdD]+$ ) 6p@ P !661$]6^6`a$gdMa+$ ) 6n> ~N!661$]6^6`a$gdZH D!  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G. Vassillich, Statuto della citt di Veglia,  Atti e memorie della Societ di archeologia e storia patria , II/1, Parenzo 1885, p. 53.  A. Pauletich, Inni e canti delle genti dell Istria, Fiume e Dalmazia, Trieste-Rovigno 2003; M. Bogneri, Cos si cantava in Istria, Trieste 1994, G. Di Nuzzo, Il sentimento nazionale nei canti istriani, Parenzo 1929; Cfr. Famiglia Pisinota, Cantavimo e sonavimo cuss, Trieste 1963 e G. Timeus, Canzonette popolari cantate in Istria, Pola 1910.  Bogneri, Cos si cantava in Istria, cit. p. 16; Di Nuzzo, Il sentimento nazionale nei canti istriani, cit., p. 14.  Bogneri, Cos si cantava in Istria, cit., p. 54.  Ivi, p. 127  P. Tedeschi, Il sentimento nazionale degli istriani studiato nella storia, in  Pro Patria Nostra , I (1886), n. 8, p. 11.  Inno popolare di Albona, in Bogneri, Cos si cantava in Istria, cit., p. 161.  Ivi, p. 103.  Di Nuzzo, Il sentimento nazionale nei canti istriani, cit., p. 14.  Bogneri, Cos si cantava in Istria, cit., p. 164.  F. Barbali, Prvi Istarski tabori (1861-1877), Zagreb 1952, p. 327; D'Alessio, Il cuore conteso, cit., p. 122.  Draguccio, ivi, p. 151.  G. Giorgieri, Canto popolare istriano, ivi, p. 90.  G. Quarantotto, Figure del Risorgimento in Istria, cit., p. 14.  C. (Camillo) De Franceschi, L Italianit di Pisino nei secoli decorsi, Capodistria 1907.  C. (Carlo) De Franceschi, L Istria, note storiche, Parenzo 1879, p. 407.  Canto popolare istriano, in Bogneri, Come si cantava in Istria, cit., pp. 90-91.  La Provincia dell Istria, 1.1.1872, cit. in Feresini, Il teatro di Pisino...cit., p.15.  Dalla relazione sulla fondazione della Societ Politica Istriana, L'Istria, 19 gennaio 1884.  Resoconto Stenografico della XVII seduta della Dieta Provinciale dell'Istria (Pola, 26.2.1898), Parenzo 1899, p. 337.  La mia Pisino, in Bogneri, op cit., p. 136.  Ivi, p. 137.  Ivi, p. 138.  El Ginasio de Pisin, ivi, p. 135. D Alessio, Il cuore conteso, cit., pp. 155 sgg.  Inno dedicato a Ludovico Rizzi per l'elezione a Podest di Pola, 1891, ivi, p. 18.  Canzonetta contro il podest di Pisino Trinaistic, ivi, p. 138.  Sul caso di Pinguente, sono illuminanti gli articoli de  L Istria del 21.3.1885 n. 169 (Il comune di Pinguente) e 18 aprile 1885, n. 17 (Ancora sulla scarpa grossa di Pinguente).  D. `epi, Nacionalna borba u Istri i izbori za Carevinsko Vijee 1907, in Hrvatski narodni preporod u Dalmaciji i Istri, a cura di J. Ravli, Zagreb 1969, pp. 418-420 e n.; cfr. Oesterreichische Statistik, LXXXIV Band, 2, Heft, Tabelle I, 23.  Bogneri, Come si cantava in Istria, cit., p. 90.  Lass pur!..., in Bogneri, Come si cantava in Istria, cit., p. 87.  Lettera satirica indirizzata a settimanale liberale italiano L Istria di Parenzo, 15.1.1885.  N. Bucavetz, Marameo, 1899, in Bogneri, op. cit., p. 25.  Siebert, Il razzismo, cit., p. 12.  Siebert, Il razzismo, cit.  E. Said, Orientalismo. L immagine europea dell Oriente, Milano 1999, p. 21. w www.whwx x"x$x&x*x@xxxx&y`yyyz8zTzZzpzzzzzzzz뼱{ofo[Phh<|mHsHh2h<|mHsHh<|6mHsHhh<|6mHsHh<|6]mHsHh<|]mHsHheh<|6]mHsHheh<|6mHsHh<|mHsHhh<|mHsHhwh<|mHsHhzO h<|6]mHsHhzO h<|mHsHhQh<|mHsHjh<|0JUh6h<|mHsHzzz{ {8{L{{{{{{{| ||"|$|&|(|>|@|B|D|Z|^||6}8}:}<}P}j}}}}}}}}}}}~b~~~~~~~~~~˵ꕫꕫˆhh<|mHsHh<|hMh<|mHsHhwh<|mHsHjh<|0JUheh<|mHsHh<|6]mHsHh<|]mHsHh<|mHsHhzO h<|6]mHsHhzO h<|mHsHhQh<|mHsH48}}}~~j:RBڅ,l*tgd"x{1$gd$a$gd"x{~~~FLfhjlnЀ܀*|܁ණ렘렫끫shzO h<|mHnHsHuhLQh<|mHsHhzO h<|:mHsHh<|mHsHhh<|mHsHhzO h<|mHsHhzO h<|6]mHsHh2h<|mHsHh<|6mHsHh<|mHsHh2h<|mHsHjh<|0JUhMh<|mHsH'܁ &(8:<>lނPv,PRTV@BDF`|؅څ܅սեեՕ}rrhAqh<|mHsHh<|@mHsHh:h<|6@mHsHhzO h<|6@]mHsHhzO h<|@mHsHhzO h<|mHsHhzO h<|6]mHsHjh<|0JUhLQh<|mHsHhzO h<|mHnHsHu!hzO h<|6]mHnHsHu,܅ޅ 8X(*,.0&6fȈθreZZQQh<|6mHsHhh<|mHsHhzO h<|@mHsHhzO h<|6@]mHsHh<|mHsHhzO h<|mHsHhzO h<|6]mHsHhQh<|mHsHjh<|0JUhAqh<|mH sH h<|6@mH sH h<|@mH sH hLQh<|@mH sH hLQh<|6@]mH sH h:h<|mH sH  4 B\jlnp̋tҌ(麭麚xӺ麭hhzO h<|6@]mHsHh<|mHsHh<|@mHsHhzO h<|@mHnHsHu%hzO h<|6@]mHnHsHuhzO h<|@mHsHh:h<|mHsHhzO h<|6]mHsHhzO h<|mHsHhQh<|mHsHjh<|0JUhh<|CJmHsH((*,@VtvxčHJLN뾲h[6}h)CJaJmHsHhSh<|mHsHh#Eh<|6mHsHh#Eh<|mHsHh]gh<|mHsHhM7h<|6mHsHhM7h<|mHsHjh<|0JUh:h<|mHsHtJLN&$ ) h8 xHdh1$`a$gd`N$a$gd"x{-.........)()() 0P8$BP. 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