ࡱ> tvs#`}bbjbjmm.V^%pPTTThppp8D,h)( ||"yyy'''''''$I)h+'T$yy$$'TT'l%l%l%$DTT'l%$'l%l%TTl%p ]mph l%''0)(l%,$,l%,Tl% yl% }yyy''%^yyy)($$$$hhh$hhhhhhTTTTTT  Contaminazioni liminali in due poeti di frontiera 1. Tra soglia e soglia nella poesia di Mauro Sambi Tu sei l'onda, la luce sulle cupole Che leva in lontananza un'altra isola: Lambisci, ti ritrai, lambisci ritmico, Rodi un confine col tuo dolce palpito. (da Luce, in Sulla soglia) Non so se si pu definire Mauro Sambi poeta di frontiera, non tanto perch ritengo il sintagma, ultimamente, alquanto abusato, quanto soprattutto per il fatto di conoscere appena parzialmente la sua poesia. Non sono, tuttavia, nuovo ai versi del polesan, di cui alcuni anni fa tentai gi uninterpretazione attraverso la lettura e la rilettura di alcuni suoi componimenti, che per lintrinseca liricit e il ritmo raffinato di cui erano espressione mi colpirono particolarmente, ma non esaurivano, credo, la sua produzione poetica. Fatto questo breve praeambulum, ricordo che tra le poesie regalatemi da Mauro (allepoca non pubblicate, me le aveva girate via chiavetta), ce nera una, breve, sui cui versi indugiai fugacemente, il tempo di leggerli, soffermandomi, forse, per un attimo per sentire se innescavano possibili moments of being, se mi schiudevano a magnifiche caverne di woolfiana memoria. Poi sorvolai. Fu circa un anno dopo, nel 2008, che, in seguito a un breve colloquio telefonico con Giacomo Scotti nel quale minvitava a intervenire ad un incontro di lettura che si sarebbe svolto da l a poco a Trieste , ritornai con la mente al breve componimento di Sambi. Si parler di scrittori e poeti di questa nostra zona di confine , mi disse il giovanotto partenopeo, naturalizzato fiumano. A colpirmi fu il suo commento quando gli feci il nome di Mauro Sambi: Mauro? mi disse S ma lui sta con una gamba qua, e una l. Appunto per questo, gli risposi: pi di confine di cos Ora, Mauro sta pi l, che qua, anzi pi qua che l, nel senso che vive e lavora a Padova, ma la mente vaga e non di rado sinvola [] alla roccia / arida e bianca che il mare / morde con furia feroce (da Lalloro di Pound III, in Sulla soglia), e ritorna alla mente il faro, il liscio scoglio, la risacca / biancoazzurra [] (da La memoria delle cose, ibid.), o ancora, da valovine, valsaline: scenari, quasi-quinte ai chiaroscuri / trasalimenti adolescenziali. Preso, per, comero in quel periodo, da altri propositi, per un po non ci pensai pi, lasciai sedimentare le parole di Giacomo, distolsi il pensiero da Mauro, da Trieste, dalla poesia. Ma fu per breve tempo. Ben presto, infatti, mi sinsinu nella mente il dubbio, mincurios quel affettuoso e ingenuo commento dellarzillo amico, e spontanea sorse la domanda se era possibile cogliere, e se s come si rivelava, questaspetto del duplice o alterno stare nella poesia di Mauro Sambi. Oltretutto, una prima esplicita conferma cera gi nella felice osservazione di Scotti che, ritraendolo nel ludico stare con una gamba qua, e una l coglieva inconsapevolmente, in quella puerile immagine, cos lontana da acrobatiche elucubrazioni o intellettualistiche sottigliezze, quellaspetto del transeunte che mi ero ripromesso di indagare nella poesia del chimico. Scotti arrivava diretto, l dove io cercavo il sentiero che avrebbe potuto condurmi, grazie anche allepifania di Giacomo, alla soglia. Rileggendo alcune considerazioni che avevo fatto sulla sua poesia, mi accorsi subito di come avessi tralasciato proprio questo importante elemento, anche se alcuni spunti stavano l, tra i versi delle sue liriche, nei titoli delle stesse, e di una, mi sembra, in particolare. Interessante , in tal senso, rilevare come la silloge Sulla soglia (e la soglia gi limite, frontiera, confine, blocco, ma anche passaggio, varco) inizi proprio con una poesia verso, nel caso specifico, verso Pola e con, sotto, la dedica a Nelida: verso Pola a Nelida Superato il confine a Rabuiese, un cartello scritto a mano dichiara: PESCHERIJA Un centauro dove la via scollina; poi (forse) in mezzo al mare una sirena. Superato il confine a Rabuiese []: oggi, a differenza di quando Sambi scrisse la poesia, non dobbiamo pi superare alcun confine a Rabuiese, se non quello mentale pi durevole e difficile a cedere. Ma sta iniziando a diradarsi anche quello. Un tempo, quando attraversavo la soglia, a piedi o in autobus, mi trovavo sempre a seguire, da una parte allaltra con lo sguardo, la linea che delimita linizio e rispettivamente la fine delle due gettate di asfalto: il limes. Mi chiedevo a cosa pensassero gli operai, i manovali, gli stradini con in mano le pale, intenti a riassettare e a livellare lampio spiazzo che avrebbe poi dato per decenni, nellattraversarlo, la strana e spiacevole sensazione di vuoto, di alienazione, di spazio franco da valicare; mi chiedevo come si guardassero, cosa scorgessero gli uni nello sguardo gi oltre la soglia che stavano creando, degli altri. Gli uni da una parte, gli altri dallaltra. Presto fu posto un cippo in mezzo allo stradone a delimitare uno spazio fino allora esente da limiti, con tutto il corollario di caselli doganali, sbarre, aste portabandiera, uomini in divisa. Ecco, pensavo, cos sorge la soglia, il limite, il locus morto che si (tra)valica, si supera. Ma il lessema travalicare contiene in s anche il tratto semantico eccedere, dal latino excedo, is: eccedere il modo o la misura [] eccedere i confini del giusto e della legge, e, potremmo aggiungere, del convenzionalmente lecito, o normale, di quanto, cio, una societ o una comunit ha istituzionalizzato attraverso quelle che Michel Foucault definisce pratiche discorsive. Scrive, infatti, lo studioso francese: Non c una sola cultura al mondo dove tutto sia lecito. E sappiamo bene, da tempo, che luomo non comincia con la libert, ma con il limite e con la linea del non superabile. Ora, leggendo i versi di Sambi, vediamo che essi si concedono (anche) alla lezione di un messaggio che non esplicito, ma si inserisce bens allinterno di ci che Foucault chiama l organizzazione dei divieti di linguaggio, e, pi precisamente, allinterno di quello riguardante il codice linguistico e gli sbagli di lingua. Ci che nei versi di Sambi non esplicito, la loro conferma, di primo acchito contraddittoria, dellasserzione foucaultiana. Infatti, proprio nelloltrepassare il limite che la libert delluomo si fa qui poesia, intesa, questultima, come Sambi stesso la defin nel nostro fugace incontro di alcuni anni fa, ambito di libert. O, ancora, possiamo dire che luomo qui comincia con la libert la libert di giocare con il divieto da lui stesso impostosi, scardinandolo, dello sproposito linguistico. Certamente, il discorso di Foucault mira alla dimensione ontologica dellessere, dove invece, i versi di Sambi, ne colgono un aspetto particolare, puntano e si focalizzano sul ludum verbi, o, di pi, sulla trasgressione di quel gioco, posta emblematicamente in rilievo e al centro dello scritto. Qui, il sabotaggio del codice reso dalla stridula intrusione della semiconsonante tra le due vocali finali. Interferenza, questa, che conferma, oltre alla riflessione di Foucault sulla scrittura alfabetica intesa come forma di duplicazione poich rappresenta non il significato, ma gli elementi fonetici che lo significano, anche quanto inizialmente supposto sulla possibilit di definire Sambi poeta di frontiera. Credo, infatti, che Sambi possa considerarsi tale per la capacit che ha di cogliere la rarefazione linguistica che quello sbaglio di lingua effonde da s, al di l del limite delluno o dellaltro codice espressivo, e quindi fluttuante ai bordi di diverse langues. O forse, pi che di frontiera, potremmo ricondurre linstabile combinazione sambiana allinterno della nota metodologia dellape, che dal nettare di diversi fiori ci offre, alla fine, nuovi, inconsueti sapori. E quindi anche se, come mi disse Mauro, la soglia sta a significare il momento di passaggio, per lui, dalla condizione di ragazzo a quella di padre, credo che possiamo ravvisare in quella anche la rivelazione del suo passaggio tra culture e lingue diverse, quasi di internauta culturale. E qui, a conferma di quanto esposto sopra, si confronti la crestomazia di Sambi inclusa nella miscellanea Di molte Il limite Lumiltade, in cui le liriche profumano dei fiori e delle piante pi varie: vi troviamo lagave, la campanula, la rosa, il timo, la salvia, il cardo, il ginepro, acacie, pini una fragranza di fiori e luce / a raggi obliqui e chiari, ma su tutti domina il colore forte, luminoso e solare delle ginestre, che dallarida terra dellIstria, Sambi porta con s in quella opulenta della pianura veneta. Quella di Sambi una poesia di fragranze che emanano non solo da piante / dai nomi poco usati, ma anche da quelle che donano a noi poveri la nostra parte di ricchezza, sono i fiori che crescono tra il mare di Pola e il suo immediato entroterra quelli colti da Sambi e gelosamente custoditi nel suo transumanar istro-patavino, cercando di eluder limiti tessendo incontri. O, per fare ancora un ultimo esempio, si colga nelle liriche la ricorrente terminologia di espressioni, locuzioni che rinviano a luoghi, paesaggi, esperienze del limite, del stare tra, di apertura e chiusura al contempo: Superato il confine in verso Pola, la via che scollina, in mezzo al mare, sempre in verso Pola; e ancora: [] taffermo franto limite, / o(h) linea discrimine, in fine sabbia, // o(h) affine argine-nulla, opposto a rabbia / [] chiuso margine, tu oltrel, tu illimite, per ritornare in Pieno e vuoto quasi con una breve sentenza che coglie pienamente il perch del suo scrivere poesia: [] C chi si salva lanima / piegando loltrelimite al canto. Ritornando alla lirica che ho preso come modello di questa rivisitazione sambiana, avendo anchio, come Sambi, innumerevoli volte superato quel confine, non ricordo, per, di aver mai osservato il cartello scritto a mano con quella sbilenca scritta. Scritta che, anche nella sua deformit lessicale, riflette, a livello fonologico, una concatenazione di assonanze e parallelismi fonici che rivelano, alla radice, una melodiosit chiara, fluente, appena vivacizzata dallequilibrato dosaggio tra le occlusive e le spiranti che lautore con parsimonia dissemina nel testo , e culminante nelliterarsi del nesso /sk/, che, riflesso dallepicentro stesso della poesia la parte mediana della manomissione concettuale , si espande quasi diametralmente speculare nel secondo e rispettivamente nel primo dei due distici del componimento. In conclusione a questa furtiva riflessione sulla poesia di Mauro Sambi, mi viene in mente la risposta che egli diede al pensiero espresso da Luciano Dobrilovic sulla sua poesia. Per lui, Sambi, la poesia rappresenta lattivit pi importante e gratificante, ancorch (o proprio perch) semiclandestina. Ma , potremmo ipotizzare, proprio questaccompagnarsi furtivo, quasi allombra dellattivit regolare di Sambi-chimico, che essenzialmente caratterizza la sua creativit poetica. Non potrebbe, forse, andar ricercata proprio qui la sua capacit di trasporre in versi il tema a lui cos vicino accanto a quello della musica , quello del limite. Il limite, quindi, il mondo di mezzo come non-luogo in cui possibile per lalchimista cogliere lo scarto tra tempo e annullamento del tempo, attraverso epifanie minime, illuminazioni e, innanzitutto, una criture che , al contempo, canto e incessante discorso damore. 2. Commistioni linguistiche in un ignoto epigono triestin di Pietro Aretino A San Silvestro no ve conto fote In barba a lavarizia e a la paura, Fra un goto e laltro, fato la braura De ciavar quatro done in una note. (Illisse [] imborezza*, Polifemo Acca) Fu per me una graditissima sorpresa quando nellottobre del 2010 rinvenni, tra i documenti custoditi nellArchivio diplomatico di Trieste, una cartella con lintestazione: poeti istriani. Accanto al sonetto manoscritto in dialetto istrioto di Rovigno, di cui tratto approfonditamente in un altro mio lavoro, nella collezione figurano pure otto sonetti manoscritti in dialetto triestino, fittamente redatti e con uguale grafia, da entrambi i lati dei quattro piccoli fogli volanti sui quali furono trascritti. Ci che confonde la difficile identificazione dellautore dei componimenti. Difatti, anche se tutti sembrano essere stati scritti da un certo Giglio Padovan, in calce o in fronte ad alcuni di essi troviamo una firma diversa: D. F., Avv. Crisicopulo, Polifemo Acca. Ci si chiede, quindi, legittimamente: sono tutti opera di Padovan, o sono stati composti da autori diversi? E non potrebbe, forse, anche Giglio Padovan essere solo uno pseudonimo? E chi era D. F.? Opterei per questultima ipotesi: i sonetti andrebbero ricondotti alla fervida immaginazione di D. F. che si firmava per con lo pseudonimo Giglio Padovan. Il sonetto che qui si prende in esame e in cui si cercher di individuare elementi conducibili ad una mescolanza e ibridazione di codici espressivi, oltre che di culture, intitolato Tardi la cato, vagabonda e sola, con in calce la firma D. F.; la sua data di composizione andrebbe ricondotta, molto probabilmente, agli inizi del Novecento, prima della Prima guerra mondiale, quindi nella Trieste della felix Austriae. Oltre al comico-burlesco, un motivo pregnante che caratterizza il componimento losceno-lussurioso quasi un controcanto ai Sonetti lussuriosi di Pietro Aretino , in cui lautore, attraverso luso di un linguaggio dissacrante e dissacratorio (De farghelo star dreto a San Francesco) ed un registro basso, popolaresco, descrive il suo incontro, una sera tardi, con una ragazza di lingua tedesca, quasi sicuramente a Trieste. Osserviamo che i versi del sonetto posseggono una forte valenza icastica, sicch leggendoli ci sembra quasi di assistere al susseguirsi piano e nitido di sequenze, ben ordinate, di un brevissimo cortometraggio: c innanzitutto lincontro dei due, in tarda notte, la preoccupazione di Padovan per la condizione disagiata della giovane e il conseguente offrirsi dellautore ad ospitarla a casa sua, il tutto condensato entro i primi due versi e il primo emistichio del terzo verso. Dal secondo emistichio di quello, la scena si sposta istantaneamente (si noti a tal proposito anche il felice enjambement tra il terzo e il quarto verso, quasi a suggellare lo spostamento topico dellazione) nella casa delluomo, dove avviene laccoppiamento e sul quale il Padovan sinteticamente ci informa nel primo emistichio del nono verso. Ci che qui per mi sembra vada messo in risalto, la rivelazione del poeta sullignoranza di entrambi delle reciproche lingue: De italian no la parla una parola, / E mi no ghe so unostia de tedesco, che anticipa la motivata riflessione sulla lingua. Segue poi il breve stacco dellamplesso di cui lautore ne precisa soltanto laspetto aggiunto (o meglio: imposto) del silenzio. Ma sono le due terzine ad assumere, per la nostra analisi, il maggiore interesse. Qui, infatti, oltre alla dicitura in tedesco dellundicesimo verso, lautore si sofferma sul campo semantico del codice in s: lezion, glossario, abbecedario, vocabolario; , questo, un campo semantico di termini che, come si vedr anche pi avanti, sono la spia della non estraneit di Padovan allambiente della formazione scolastica, ma, anzi, di una sua non marginale familiarit con la tradizione poetica italiana. A differenza della deformazione parodistica, peculiare delle opere di questo genere e registro nellAretino, in Padovan mi sembra pi peculiare la sua ansia a rendere in tutta la sua realistica rappresentazione lesperienza che lo stimola alla composizione dei versi. Lo avvicina invece al grande toscano, controcorrente anchegli a suo tempo, la spregiudicatezza e la trasgressivit del linguaggio, nonch una mal celata ironia che traspare dalla lettura in versi delle sue vicissitudini erotiche, e che si tinge, a volte, svalutandoli, di una spocchiosa e pacchiana autocelebrazione delle proprie doti macho-viriliste. il caso, per esempio, dei versi E co sta mia verigola sbusona / Go trafor perfina el mio Piovan / Perch l talto sempre per un mona in El porco. Ritornando a Tardi la cato, oggetto danalisi di questo scritto, possiamo dire che Padovan non sia stato digiuno di lettere, anzi: la sua accurata casistica della versificazione carnale ci fa supporre che abbia frequentato e bene assimilato pure le consimili opere dellAretino. Un indizio che Padovan fosse uomo abbastanza colto e appartenente al ceto della media borghesia, ci dato ancora, oltre che dal cenno Avv. Crisicopulo, sotto al titolo di Illisse [] imborezza* (ricostruzione mia) anche dallasserzione, subito smentita, di non conoscere la lingua tedesca. Dal sonetto risulta invece che Padovan, se anche non padroneggiava perfettamente il tedesco, molto probabilmente lo conosceva sufficientemente per essere in grado di comporre in esso un verso, in rima con un altro verso in dialetto triestino! Tardi la cato, vagabonda e sola Perdio, no la vorr dormir al fresco! Me la remurcio a casa. Ela se mola Le cotole con garbo putanesco. La xe un toco de bionda che consola, De farghelo star dreto a San Francesco De italian no la parla una parola, E mi no ghe so unostia de tedesco. Se fote e tase e la lezion pi val Che se gavesse masteg el glossario. Ich werde kommen schon ein anders mal Cica Nemrad*! Brus labecedario! La mona ga un linguagio universal E el casso xe el so gran vocabolario! Il primo emistichio del dodicesimo verso pure una ricostruzione mia, data la difficolt di lettura e dinterpretazione di quanto scritto dal poeta. Ci che qui per pi conta, accanto alla peculiarit espressivo-tematica, la contaminazione che il poeta realizza tra un codice in lingua il tedesco e uno in dialetto: quello triestino. A proposito di questultimo, sarebbe certamente stimolante cercare di capire perch Padovan, pur possedendo accanto ai due sopradetti anche il codice linguistico italiano, scelga di esprimersi in dialetto. Le due lingue standard sono per lui di sicuro lingue nuove, acquisite, come esemplarmente spiega Franco Brevini, per ragioni pratiche o per ragioni culturali, e in quanto tali lontane dallesperienza e dalla percezione profonda, viscerale, lontana cio dallimprinting primigenio, autoctono che invece quello della lingua madre immediatamente seguente alla lallazione. Dando nuovamente la parola a Brevini, possiamo dire che anche Padovan usa il dialetto in quanto lingua materna, e quindi capace di realizzare quella congiunzione tra la parola e la cosa, di cui nessun altro codice si rivelerebbe capace, perch, come rileva subito sotto Luigi Meneghello: la parola del dialetto sempre incavicchiata alla realt. E la realt per Padovan una realt fortemente sessuata, corporale, immanentemente lussuriosa. Soffermandoci su questultimo aspetto della poesia del triestino, va rilevato che anche qui, come gi in Sambi, lautore ci pone di fronte a un limite, che egli stesso travalica e ci invita a oltrepassare. Il limite per non pi seppur allinterno della foucaultiana sfera delle interdizioni di linguaggio  quello delle imprecisioni linguistiche, ma bens quello riguardante le parole o espressioni colpite da un divieto di articolazione (tutta la serie religiosa, sessuale, magica delle parole blasfeme). Padovan, o meglio la poesia di Padovan, rimane interdetta alla fruizione, cio estromessa dal circuito di canonizzazione, anche da quello pi basso, primario o locale, perch viola i limiti imposti, dal codice riconosciuto, al tipo di espressione consentito, e, in quanto tale, fortemente eversiva. Difatti, come scrive Foucault dopo aver esaminato altre due forme di enunciati non ammesse dalla censura, assai probabile che ogni cultura, qualunque essa sia, conosca, pratichi e tolleri (in una certa misura), ma ugualmente reprima ed escluda queste quattro forme di parole proibite. Concludendo, possiamo dire che nei due autori trattati non manca il ricorso ad una dialogicit tra codici diversi, ma, mentre in Mauro Sambi assistiamo ad una commistione che si realizza, nei versi, esclusivamente sul piano diatopico (ibridismi scaturiti da combinazioni di termini o enunciati appartenenti a differenti codici linguistici, spazialmente distanti o in contatto), in Giglio Padovan il pastiche si attua, oltre che a livello diatopico, pure su quello diastratico, nel senso che lautore si avvale di, e manipola, linguaggi appartenenti a classi sociali diverse, muovendosi cos egli stesso (con la sua poesia) entro le strutture del sistema costituito e, a modo suo, da agente destabilizzante, intaccandolo e alterandolo allinterno delle sue intrinseche modalit codificate. Per questo motivo Padovan pi eversivo di Sambi, la sua poesia pi conturbante. E non solo perch parla di argomenti considerati ancora temi tab, se paragonati a quelli della poesia e della letteratura ufficiale, istituzionalizzata, ma soprattutto perch ad esprimere quelle esperienze usa il linguaggio diretto, aperto e concreto del dialetto. Sandro Cergna Dicembre 2010.  Campanotto Editore (a c. di), Di molte Il limite Lumiltade, Premio S. Vito al Tagliamento, Campanotto Editore, Udine 1998, p. 153..  Vocabolario latino-italiano Campanini-Carboni, Paravia, Torino 1993, p. 1871.  M. Foucault, Scritti letterari, Feltrinelli, Milano 2004, p. 104.  Ibidem.  Ibidem, p. 105.  Ibidem, p. 75.  Campanotto Editore (a c. di), op. cit.  In La bellezza, ibidem, p. 134.  E. Montale I limoni, in Poesie scelte, Oscar Mondadori, Milano 1994, p. 5.  In Voci verso un esito, Campanotto Editore (a c. di), op. cit., p. 102.  In omaggio (imago (amore)), ibidem, p. 163.  Ibidem, p. 144.  Il sonetto da me analizzato nel lavoro, tuttora in corso, di dottorato di ricerca.  F. Brevini, La letteratura degli italiani, Feltrinelli, Milano 2010, p. 48.  Ibidem, p. 47.  M. Foucault, op. cit., p. 105.  Ibidem.  Ibidem.     PAGE  PAGE 7 ,4OPQSTUghtu S   ! B C F V ƼƴԬ|xtplplplpthhh#Vh$ h7hrh/hu6CJaJhuCJaJhuhuCJaJhuCJaJhv"hu5hj'hj'5hv"hv"56 hj'56 hv"hv"hv"hv"5hv"CJaJh/CJaJh7hr6CJaJhrCJaJ)PQ. T m d^gd/$d^a$gd/ d^gd/ d^gdu $dha$gd/^Wb|b   4 5 9 : ^ _  $ ) f g y &89MOT̷̷țh/h[hMY} hMY}6hj'hZ 6 hZ 6 hZ hZ hZ hOhI h6hh6hj'hh$ hhhhh6huhh7h#Vh#Vh#V66"$,.0fhiABo )5678y*=@DV ĿĿh(ehCjhr\!0JU hr\!6hr\! hu6 h[6hu hO6hMY}h[hO h/6h++hj'ha;,h/h#VB %&,JOl"2Mgi!_eks`:?U_amx h/5CJhzOh/6hj'h/6hlbh/6hChC6ha;, hC6hCh,hJ7h++hl0h`hR] h/6h(eh/h6=>?@^bco=TZqrAM%)1{%;C^p  +,->?G췳h8h86hh8 h6h=G1 h-6 h(e6h++ h#:6h#:h@&hhj' h/6h(eh-h/ h/6CJC=>?/26666666b77~8 9 $dha$gd/ $dha$gda;, d^gd/GTZ\^a}&FJfy{R T U V e t !!7!8!9!:!]!f!!!!!!!!! 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